venerdì 23 settembre 2016

La cattedrale di Sant'Antioco di Bisarcio

Non ci perdiamo d'animo e il giorno dopo decidiamo di tornare sul posto per visitarla. Non siamo soli. 
Un gruppo di studenti dell'Università di Sassari sta lavorando agli scavi del cimitero che si trova sul retro della cattedrale.
La guida e la responsabile degli scavi sono molto gentili e ci spiegano il loro lavoro.
Visitiamo la cattedrale, sitratta di una costruzione del XII secolo, in stile romanico, costruita su una precedente chiesa andata distrutta da un incendio intorno al 1090 d.C. 
Comprendeva un tempo il palazzo vescovile e la canonica. Oggi resta solo la cattedrale e alcune rovine degli altri edifici.
La facciata esterna della basilica è molto ricca di decorazioni in pietra lavorata. Al piano terra vi sono tre arcate. L'arcata di destra è molto bella, trattandosi di una bifora la cui colonnina centrale è poggiata su un leone ancora riconoscibile anche se rovinato dal tempo inclemente.   
Nel XV secolo la parte sinistra della facciata della cattedrale crollò e fu ricostruita senza badare troppo a restituirle la forma iniziale. 
Nella facciata vi sono molte altre decorazioni in pietra, sugli archi principalmente, che rappresentano santi o animali e che danno un aspetto curioso alla cattedrale.
Eppure, ci spiegano, la facciata è stata aggiunta dopo la costruzione della cattedrale, la cui facciata originale è ora nascosta.
Quando saliamo al primo piano è infatti possibile vedere una piccola bifora che dagli appartamenti privati del vescovo consente di vedere l'interno della chiesa.

Al piano superiore si trova un camino in pietra molto interessante a forma di mitra vescovile. Non avevo mai visto un'opera simile. 
Incisa nella pietra vi è la formula di consacrazione dell'altare (o della chiesa, non sono certo della cosa). La guida attira la nostra attenzione su una leggera incisione a forma di sandalo. Testimonianza del passaggio dei pellegrini.
L'interno della chiesa è molto semplice. Il tetto è in legno e in fondo, nei pressi dell'altare, si trova una statua del santo.
Si tratta di Sant'Antioco, il cui culto è molto diffuso nell'isola. 
Antioco arrivò in Sardegna dall'Africa, dove venne esiliato dall'imperatore Adriano. Antioco in Sardegna vi morì, nell'anno 125, a Sulci, l'odierna isola di Sant'Antioco. La statua rappresenta il santo con in mano la palma del martirio. 


La visita è terminata e andiamo via soddisfatti, ripromettendoci di tornare l'anno prossimo per una nuova visita agli scavi e per vedere le domus de janas e i graffiti rupestri che si trovano nell'altopiano alle spalle della chiesa.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 12 settembre 2016

Sull'uso degli scarabei in Egitto, un'ipotesi

Ho appena terminato la lettura di una lettera del Cavalier Giulio di San Quintino, relativamente all'uso degli scarabei e, non avendo mai sentito parlare di questo argomento, ho pensato potesse essere di interesse anche per altri e così ho scritto questo piccolo articolo che spero non troverete noioso.
Il Cavaliere sta rispondendo ad una lettera di G.B. Vermiglioli in cui si parlava di una moneta unciale attribuita al conio di Heretum dei Sabini.
Nella sua risposta i lCavaliere parla a sua volta di un argomento di interesse: gli scarabei egiziani.
Questi oggetti, custoditi presso il museo di Torino sono stati oggetto dei suoi studi approfonditi, possibili anche grazie al gran numero di scarabei presenti nella collezione Reale.
Il Cavaliere, in primo luogo chiarisce l'argomento che tratterà: "sotto nome di scarabei intendo parlare di quei piccoli monumenti dello antico Egitto, figurati o scritti nella loro parte liscia, fatti di terra cotta ovvero di pietra, ed aventi, per lo più, la forma di quello Scarofaggio che si vede tutto dì fare per terra la pallotta, o d'altro animale, o cosa non molto diversa dalla figura ovale e tondeggiante di quell'insetto".
Secondo il Cavaliere, gli scarabei sono la parte più numerosa delle collezioni egizie e vanno divisi in due categorie principali:
- gli scarabei sepolcrali;
- gli scarabei destinati per gli usi civili della società;
Secondo l'autore (e chi può avere a portata di mano tali oggetti potrà verificare) gli scarabei sepolcrali sono una minima parte del totale, sono di dimensioni maggiori e solitamente sono privi di iscrizioni e figure, e quando invece hanno delle scritte queste si riferiscono ai defunti. L'autore della lettera ci dice che nella collezione reale vi erano poco più di ottanta scarabei sepolcrali. La dimensione varia dai 3 ai 7 centimetri e sono realizzati in pietre dure di vario tipo. 
Il secondo tipo di scarabei invece è differente. Intanto la forma è solo abbozzata e sono traforati nel senso della lunghezza (mentre quelli sepolcrali non hanno foro!). Di questo tipo vi erano circa 1700 pezzi. La dimensione va dai 7 millimetri ai 4 centimetri, sono realizzati in terra cotta smaltata e sono molto leggeri.
Il cavaliere a questo punto pone una domanda: "Ma a che cosa dunque servivano in Egitto questi curiosi, numerosissimi lavori?
Occorre distinguere, come sopra, tra i due tipi: "gli scarabei sepolcrali accompagnano i defunti nella tomba come simboli, probabilmente, dell'Universo, e del suo facitore. Ma, intorno agli altri, vario tuttora ed incerto è il parere degli eruditi".
A questo punto nella lettera segue una breve analisi di alcune ipotesi e del perchè lui non sia d'accordo su di esse, quindi passa ad esporre una sua ipotesi e a giustificarla, ma prima osserva che: "Fa veramente meraviglia come fra l'infinito numero delle cose antiche d'ogni forma e sostanza che, già da più secoli si vanno scavando nella valle del Nilo, non siasi scoperta mai, una sola moneta di vero conio egiziano; quando, all'incontro, se ne trovano ogni giorno in gran copia di quelle battute colà, non solo dai Romani, e dai Greci, ma talvolta ancora dagli stessi Monarchi Persiani, che furono a contatto cogli ultimi Faraoni", e poco oltrea ggiunge: "E' per altro impossibile che un popolo ricco, ingegnoso e potente [..] abbia potuto rimaner si gran tempo privo di uno dei cardini della società, voglio dire della moneta, o di altra cosa che la rappresentasse".
Ecco, infine, svelato l'argomento della lettera: la moneta egiziana.
Il Cavaliere prosegue nello spiegare i vantaggi della moneta (o suo sostituto) e di come i piccoli scarabei possano in tutto supplire la monetazione metallica.
"Quel succedaneo della moneta in Egitto dovea avere in se tutte , od in parte almeno, le proprietà de' metalli men rari; dovea essere di una materia dura, poco voluminosa, non greve, capace di lunga durata, ed atta a ricevere, e conservare gl'impronti; di una figura sempre uniforme, di una forma tondeggiante anzi che angolosa, affinchè per continuo attrito non venisse troppo presto a logorarsi. Doveva essere inoltre di una sostanza triviale, e di facile lavoro, acciocchè  il prezzo della materia, e dell'opera, non superasse il valore delle cose più dozzinali per le quali si dava. Dovea essere, per ultimo, infinitamente moltiplicata, affinchè potesse bastare ad una nazione ricca e numerosissima." 
Ebbene, non si può certo dire che gli scarabei non siano più che adatti a svolgere la funzione di monete accorpando in se tutte le caratteristiche indicate.
Il Cavaliere prosegue la sua spiegazione dilungandosi sulla storia antica per poi tornare pragmaticamente ad osservare: "gioverà ancora por mente alle seguenti osservazioni che mi vennero fatte esaminando la collezione degli scarabei in questo Regio gabinetto.
"1° Nella serie di questi scarabei, che è poco minore di mille settecento, come si è già detto, io ne ho contato un centinaio circa, i quali in vece di essere segnati colle solite note geroglifiche, ovvero con figure, presentano dei punti fatti a modo di piccoli cerchietti, regolarmente disposti, e di vario numero dall'unità fino al venti. Non è cosa improbabile che in tal guisa, come appunto sulle frazioni dell'Asse Romano, venisse indicato il maggiore o minor valsente nominale di ciascuno scarabeo. 
2° Nella maggior parte degli scarabei fatti di porcellana, i quali come ho già notato, sono di tutti, i più numerosi, i loro smalti durissimi veggonsi quasi intieramente consumati nelle parti prominenti [..] la qual cosa, come ognun vede, non può essere che l'effetto di un lungo sfregamento prodotto dall'uso quotidiano di quelle porcellane, non diversamente da ciò che noi vediamo accadere alle monete correnti nel giro di pochi anni.
3° Si può notare che il foro è spesso allargato, da cui si evince che venivano infilzati e così trasportati.
4° Anche gli scarabei in pietra dura riportano gli stessi segni di sfregamento dei più semplici scarabei di terra cotta.
5° Questi scarabei riportano il nome del Monarca egiziano sotto cui ebbero validità, a similitudine delle nostre monete. Se ciò fosse vero, si potrebbe anche dedurre, dalla numerosità di alcuni scarabei, periodi di crisi e di conseguente svalutazione.
6° Spesso negli scarabei vi sono rappresentati anche gli Dei".
Il Cavaliere termina il suo scritto con una osservazione sulla parsimonia degli Egiziani che usando gli scarabei come moneta non mandavano in polvere patrimoni, come invece accade nei popoli che usano i metalli, a causa del continuo sfregamento.
Devo dire che le osservazioni del Cavaliere Giulio di San Quintino mi hanno colpito e affascinato per la loro profondità e mi stupisce di non aver mai letto niente in proposito, come se queste osservazioni fossero andate perdute. Se così è stato, spero con queste poche righe, di rendergli anche se in ritardo il giusto merito.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 11 settembre 2016

Graffiti rupestri a Monte Baranta - Olmedo

Archeologia in Sardegna, niente di più appassionante.
Questo perché dovunque ti giri vieni sommerso da resti di antiche civiltà, quella nuragica è la più evidente ma non l'unica.





Questa mattina siamo stati a Monte Baranta e dopo essere rimasti sconvolti dallo stato di abbandono del posto, che preferisco non commentare, siamo rimasti colpiti dalle strutture metaforiche presenti sul posto, mi sembra che siano diverse da quanto visto fino ad oggi. Ma questo breve articolo mira solo a presentarvi una piccola scoperta. Il posto è pieno di lastrone sparsi sul terreno e uno di questi ha destato la mostra attenzione per i segni che vi erano incisi.
 Dalla foto non è proprio evidente come in presenza, ma nella foto qui sotto ho evidenziato quei segni che mi sembra siano inequivocabilmente di natura umana.
Devo dire, senza esagerare, di essere rimasto felicemente colpito dalla scoperta.
Fino ad ora, nonostante le innumerevoli escursioni non mi era mai capitato di trovare niente di simile.
Nella pietra si vedono anche altri segni ma è difficile distinguerli.
Naturalmente ora sta al mondo degli studiosi verificare la mia ipotesi. Buon lavoro a tutti.

Invito tutti coloro che amano la nostra Sardegna a fare qualcosa affinché posto come Monte Baranta possano essere trattati come meritano.

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

Sopra il sistema de' numeri presso gli antichi egiziani

Ho appena terminato di leggere un saggio/lettera del Cavaliere Giulio di S. Quintino, "Sopra il sistema de' numeri presso gli antichi egiziani" pubblicato il 15 gennaio 1825, inviata all'Abate Giovan Battista Zannoni.
Avendolo trovato molto interessante e non avendo mai sentito prima parlare di ciò, ho ritenuto importante scrivere alcune righe per ricordarlo.
Il Cavalier Giulio di S.Quintino era allora conservatore presso il Museo Egizio di S.M. il Re di Sardegna, in Torino, mentre l'Abate era segretario della Reale Accademia della Crusca e Regio antiquario nell'I. e R galleria di Firenze.
L'oggetto della lettera/saggio, come traspare dal titolo, è il sistema numerale degli Egizi.
Il Cavaliere spiega di essersi avvalso, per i suoi studi, di contratti demotici e registri ieratici "pieni in ogni loro parte di date e di quantità numerali" ma, più utili sono stati per lui "i miseri avanzi di un antico codice cronologico egiziano che presso di noi pure si conserva, ridotto però dal tempo, in centinaia di frammenti".
Il Cav. ci parla dunque di un codice cronologico antico e molto rovinato. Aggiunge che il primo a visitare e studiare il codice fu Champollion il minore. Sulla base dell'analisi del codice, Champollion pubblicò diversi articoli sui giornali d'oltralpe, definendo il papiro "un vero canone reale fatto a somiglianza di quello di Manetone; come un tesoro per la storia, di cui non si potrà mai deplorare abbastanza la perdita per ciò che ne manca; come un'appendice inestimabile alla celebre tavola genealogica d'Abydos, e contenente una serie di oltre cento Monarchi egiziani".
Una notizia interessante senza dubbio, per quei tempi di sicuro, trattandosi di una scoperta che aggiungeva almeno cento Re a quelli allora noti. Sicuramente Champollion utilizzò questi dati nella sua cronologia, facendo risalire i faraoni più antichi anche al 6.000 a.C., per Champollion il Re Menes, capostipite della Prima dinastia, unificò alto e basso Egitto nel 5867 a.C.. Attualmente si ritiene che Menes abbia regnato intorno all'anno 3000 a.C., ma siamo sicuri che le datazioni odierne siano corrette? 
Vediamo cosa ci dice ancora il Cavaliere Giulio di S. Quintino.
"Ora egli è evidente che aggiungendo quei settecento od ottocento anni, all'anno millequattrocento settanta tre avanti l'era volgare, nel quale, con molta ragione, si crede dagli eruditi che il Re Sesostri abbia cominciato a regnare, noi saremo trasportati, dalla sola tavola d'Abydos oltre i tempi d'Abramo, in un'epoca già assai vicina al diluvio, secondo la cronologia de' libri Santi.
Come si può vedere chiaramente, l'autore è preoccupato di non andare in contrasto con la cronologia ufficiale riconosciuta dalla chiesa. Il periodo di 700 o 800 anni, riferito ad un centinaio di Faraoni è chiaramente sottostimato, potendosi più realisticamente valutare, a mio parere, in almeno 2000 anni.
Ma non è tutto, infatti poco più avanti si dice: "Eppure Ella dee sapere, sig. Abate pregiatissimo, che i nomi dei Faraoni che si trovano sparsi in quei frammenti sono veramente assai più di cento; io stesso ne ho riscontrato più di dugento; ed è cosa probabilissima che nell'intiero papiro il loro numero fosse anche maggiore...".
Ciò potrebbe significare aggiungere non 2000 anni ma piuttosto almeno 4000!
Riportando così l'epoca dei primi faraoni almeno al 5000/6000 a.C. ovvero ai tempi indicati da Champollion. 
Ma allora cosa spinge i nostri studiosi a porre molto più vicino nel tempo l'alba dell'Egitto?
Non penso che oggi si tratti di rispetto per la cronologia biblica ma non ne capisco il reale motivo.
Proseguendo la lettera, il Cavaliere avanza delle ipotesi più che credibili:
"Questo nostro canone cronologico tanto celebrato non sarebbe egli mai per avventura quello stesso codice nel quale erano registrati i 340 Re, i quali secondo ciò che i sacerdoti di Tebe voleano far credere ad Erodoto (Erodoto, II, 142) tennero lo scettro di Egitto per lo spazio di undicimila trecento e quaranta anni, da Menes, loro primo Monarca fino a Sethos Re e sacerdote di Vulcano?"
In effetti conoscevo già la storia di Erodoto e non ho mai capito per quale motivo i nostri storici non abbiano mai preso la cosa sul serio. Anche nel Timeo di Platone si fa riferimento all'antichità dell'Egitto ma per i nostri scienziati e storici gli Egizi non possono aver creato un regno sopravvissuto per più di 3000 anni!
Il Cavaliere prosegue dicendo che il codice riportava, per ogni Faraone, il nome, il periodo del suo regno  in anni, mesi e giorni "con estrema precisione". 
Riconosce pure lui che una serie di duecento sovrani non poteva non abbracciare un periodo di tempo inferiore ai trenta o quaranta secoli. Dice inoltre che gli elenchi furono trovati somiglianti a quelli di Manetone, per inciso altro autore non tenuto in considerazione dagli storici.
A questo punto sembra che il Cavaliere Giulio di S. Quintino si ricordi che sta scrivendo ad un Abate e ritorna a parlare del suo studio sul sistema numerale, professando anzi la sua contrarietà all'approfondire lo studio della successione dei Monarchi: "Abbandonai quindi al suo destino tutta quella turba disordinata di Faraoni, nascosti sotto il velo di oscuri prenomi per lo più mutilati; perchè com'ella può credere, non mi vanno punto a genio sì fatti antichi documenti cronologici, che non so trovar modi di conciliare facilmente coi testi delle scritture sante, ed in particolare colle otto generazioni che precedettero, dopo il diluvio, la nascita d'Abramo (Genesi XI)".
Ecco, così il Cavaliere abiura al suo ruolo di uomo di scienza per prostrarsi di fronte all'uomo di chiesa!
Questa, forse, la sua unica preoccupazione: che qualcuno possa comprendere che nel papiro si parli di tempi antecedenti allo stesso Adamo: "Pericolo è che tale papiro possa contribuire segretamente a distruggere l'infallibilità della sacra storia scritta da Mosè".
Non credo di dover aggiungere altro!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
Archeologia, preistoria e storia, suddivisioni artificiose del tempo... l'unico testimone dell'evoluzione dell'Uomo...
Egitto... Roma... Sardegna...
Etruschi... Babilonesi... Assiri... Hyksos... Shardana... popoli del mare... Maya... Aztechi... Cinesi...
Vogliamo parlare di questi popoli e di altri... cercare di evidenziare similitudini e differenze... proveremo a studiare, assieme a chi ne ha voglia, popoli dimenticati... senza preconcetti!
Cercheremo di ripercorrere la storia di questi popoli con l'aiuto di storici antichi e moderni... ma non solo...
Cercheremo di andare oltre una disciplina scolastica leggendo testi antichi alla ricerca di radici ancora poco chiare...
Cercheremo di capire se è vero che l'uomo si è evoluto così come abbiamo studiato, linearmente, oppure se è possibile che le cose siano andate diversamente... come sostenne Platone!

Zibaldone...

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