sabato 23 gennaio 2010

Origine dei nomi degli dei: Giove, Diovis e Vediovis

(Aulo Gellio, Notti Attiche, V,12)
Ci dice Gellio di aver trovato scritto nelle preghiere antiche i nomi di alcuni dei romani chiamati Diovis e Vediovis.
Secondo Gellio gli antichi Latini facevano derivare il nome "Giove" (Iovis) dal verbo "giovare" (Iuvare), al quale veniva aggiunto il termine "Padre" (Pater o Piter), da cui si giunse alla forma completa "Iovispater" ovvero "Padre che giova".
Tale forma fu poi abbreviata in "Iupiter".
Giove veniva anche chiamato "Diovis" e "Lucetius" perché "aiuta con il giorno e la luce".
E' chiaro dunque che "Diovis" era il nome attribuito alla divinità che aveva il potere di giovare.
Vediovis invece era la divinità che aveva il potere di nuocere, in quanto la parola é composta da "Diovis" e dalla particella "ve" usata in senso privativo o negativo.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 22 gennaio 2010

Nuova iscrizione di Lemnos, isola greca dell’Egeo nord orientale

La Scuola Archeologica Italiana di Atene (attiva fin dal 1926), nel corso degli scavi dell’Eforia al teatro di Efestia, come ebbe a dichiarare il suo direttore, il prof. Emanuele Greco, nel Notiziario, Anno V, n° 2, ottobre 2006 – marzo 2007 «annuncia la recente scoperta di una “compagna” della stele di Kaminia».

Nell’abstract, ad essa dedicato dal prof. Carlo de Simone1, si rileva come: «la nuova iscrizione tirsenica di Efestia si presenta incisa frontalmente sullo zoccolo rettangolare rialzato […] sostenente direttamente l’oggetto/anathema oggi perduto, zoccolo misurante cm. 50 di lunghezza e cm. 13,05 di altezza».

Il de Simone aggiunge che l’iscrizione, realizzata bustrophedon, è disposta su due linee, essendo le lettere in numero di 26. Particolare che molto desta la curiosità di profani come noi, si rileva da quanto segue:

«Una caratteristica di questa realizzazione epigrafica consiste nel fatto che la prima riga testuale è propriamente, dal punto di vista della intenzione comunicativa, la seconda: il testo va letto indubbiamente bustrophedon partendo dal basso, appunto dalla seconda riga».

La stessa isola (sulla quale, lo ricordiamo, trovasi lo straordinario toponimo di Sardes (1) posto ad indicare propriamente un esistente villaggio) aveva restituito nel 1886, la ormai famosa stele di Kaminia, trovata inserita nel muro della chiesa di Sant’Alessandro. La stele rappresentava incisa la testa di un “guerriero” con in mano una lancia e due iscrizioni: la prima eseguita attorno alla testa del personaggio e la seconda lungo un margine della stele. Da una libera resa della stessa seconda iscrizione, si nota due volte, la menzione di un personaggio che viene chiamato Karales (2).

I numeri (1) Sardes ≡ Sardegna e (2) Karales ≡ attuale capoluogo della Sardegna, sono provocatoriamente posti ad indicare un possibile percorso di ricerca.

1 A. Archontidou, C. de Simone, E. Greco -2009- Gli scavi di Efestia e la nuova iscrizione “tirsenica”, in Scuola Archeologica Italiana di Atene, Tripodes 11, Estratto.


Mikkelj Tzoroddu

giovedì 21 gennaio 2010

Misteri di Calabria

Storia, miti, leggende e fonti letterarie per raccontare una terra antica e affascinante

Con la scoperta di alcuni megaliti vicino una località chiamata Nardodipace, possiamo iniziare il nostro viaggio per affrontare una questione mai molto approfondita, i primi abitatori della Calabria.
Vi ricordo che con questo nome in tempi molto antichi però si indicava la penisola salentina, terra dei Messapi, alcuni gruppi dei quali, chiamati Calabri, si spostarono nella regione, assumendo il nome di Calabria in maniera definitiva in epoca bizantina, dopo essere stata, nella sua estremità meridionale, chiamtaa Italia.

Gli Italioti o gli Itali, non furono i soli abitanti del luogo, perché in diversi periodi, momenti, questa terra fu invasa dai Siculi, dai Morgeti, dai Tirreni, Oschi, Opici, Iapigi, Enotri, Caoni, Bruzi, Ausoni, Aurunci, e altri..
I megaliti, potrebbero ricollegarci proprio alla civiltà degli Aurunci?
Chi erano?
Un antico popolo iperboreo che, secondo alcuni studiosi, forse invase la Britannia portando con sé il culto stellare di Stonehenge (Beinstein, Pietra del Signore), e che si sarebbe stanziato, in epoche preistoriche, in diverse località del mediterraneo.
A Nardodipace come a Malta avrebbe lasciato la sua impronta megalitica…

Dietro il mito locale del culto della Pietra del Signore, come anche in quello più fiabesco della chioccia dai pulcini d’oro, dei sacrifici umani, in particolare di neonati, e di tesori custoditi da demoni terioformi, si nasconderebbe l’occulta origine architettonica di strutture sepolcrali o di culto che potevano rappresentare delle mistiche soglie verso dimensioni ignote.

Tali strutture granitiche dette “a porta”, costituite da due pilastri sormontati da un’architrave, che molto ricordano i dolmen eretti dai Celti, cioè le mura megalitiche della civiltà micenea o dell’omerica Troia ( e forse di Templi di altre civiltà note), sono una chiara testimonianza di una cultura che aveva conoscenze avanzate nella lavorazione della pietra e degli incastri litici.

Cos’è la Pietra del Signore?

E’ una pietra che pesa circa 200 tonnellate ed i pilastri rocciosi sono alti circa 6 metri.
Una presenza che ben rappresenta quelle popolazioni che oltre cinquemila anni fa, si insediarono in un’area che va da Nardodipace a Stilo, da Serra San Bruno alla Ferdinandea, in una zona chiamata Piana di ciano. (questa parte si può rivedere, magari indicando in generale questa zona solo come Piana di Ciano).

Le domande sono tante, che si sia trattato di mura di cinta per proteggere una comunità o forse di edifici di culto, il mistero della loro presenza non si altera e rimane vivo. Tutte le ipotesi e le suggestioni che si mescolano agli interrogativi vengono inseriti nell’immaginario collettivo, nei miti, nei racconti fiabeschi. Dietro la cultura solare legata all’antica scienza della stirpe auruncica, oppure ausonica, che ha lasciato delle tracce megalitiche, si celebrerebbero forse i segreti più remoti della cività degli antichi Sumeri. (Shumer da Schem-ur, il popolo dello Schem, la pietra celeste).

Chi erano questi uomini?

Questa stirpe iperborea, apparsa sulla terra in epoca neolitica, era la depositaria della gnosi sapienziale e della sacra scienza che dalla Mesopotamia giunse fino al sud Italia.
Tant’è vero che l’anagramma dello stesso nome di Calabria, Air Balak, significa appunto Asia Superiore, ovvero Stirpe Iperborea.

Chi erano gli Aurunci e gli Ausoni?

Si definivano figli del sole, e che avrebbero invaso la Bretannia con il loro culto, attraversarono anche il filone mitologico di Brettium, e che coniugarono il loro sangue con la dinastia di Enea ed Ascanio che si vantava di essere stata generata dal lampo e dal tuono, come il figlio mostruoso di Vulcano, Broteo.

I Brezi o i Bruzi

Questi, costituivano una popolazione che si stabilì intorno al IV sec. a. C. nella zona più meridionale della penisola, arroccandosi sulle montagne, in quanto le coste erano occupate dalle colonie megalo-elleniche. Combatterono contro Alessandro d’Epiro e successivamente contro Agatocle di Siracusa, riuscendo così ad ottenere l’indipendenza.
Il loro centro più importante sembra fosse Numestro, l’attuale Nicastro. Appartenevano alle genti lucane; i greci li chiamavano brittici, mentre i latini li dileggiavano con il termine di bruttii, o bruttates. Ma la voce Brezia o Brittia deriverebbe dal celtico Bret, foresta, o meglio dal caldeo brot, resina, ovvero ancora dal siriano brut, pasta resinosa. Ma anche la voce Calabria potrebbe derivare dall’ebraico caleb, che significa resina, in quanto il suo suolo era ricoperto da fittissime foreste di piante resinose. E calabri vennero definiti gli appartenenti ad uno dei due gruppi in cui si divideva il popolo dei Messapi, di origine greca.

Secondo un’ipotesi tanto affascinante quanto però non supportata da prove scientifiche, i culti post-diluviani, da alcuni definiti venusiani, dei popoli aramaici, discendenti di Noè e di Aschenez, sarebbero stati comuni sia ai greci della Megalo Ellade che ai Celti. Per cui la mistica della venus Genetrix, la madre di Enea, e della regia stirpe Beinstein, avrebbe avuto una sua continuazione proprio nel meridione d’Italia nei normanni e nei Veblinghen, attraverso la genealogia dei principi bizantini Puoti, discendenti di Davide ed aventi per stemma araldico proprio il suo leone.

Le testimonianze megalitiche post-diluviane sarebbero per lo più una sorta di drammatizzazione planimetrica di costellazioni in cui è simbolicamente dischiusa la soglia del mito. Queste architetture celano una conoscenza indubbiamente superiore per l’epoca neolitica, quale quella che solo una stirpe eletta poteva custodire sulla terra.

Quella gnosi fu racchiusa nel sigillo della sacra Scienza, dapprima dai Sumeri, in seguito da quanti vennero ad ereditare la custodia dei culti misterici e della luce della civiltà, dagli antichi egizi ai greci, dai Celti ai Romani, e così via di seguito. Le pietre giganti, lavorate da mani umane, riporterebbero così alla dinastia trascendente dei Veiblinghen, e le Pietre del Signore altro non sarebbero che una manifestazione del culto divino e della stirpe reale.

Il termine Veib, con cui era indicata anche l’antica Vibo, rinominata poi Monteleone, richiama anche il mito del Monte di Venere, di quella Venus Genetrix, fattrice della stirpe divina dei regnanti, implicitamente stigmatizzata dalla chioccia dalle uova d’oro di Teodolinda di Bisanzio. La mitologia classica ci narra di Ausonio, figlio di Ulisse e di Calipso, (la ninfa dai bei ricci), che sarebbe stato il capostipite di una tribù meridionale degli Umbri, gli Ausoni, che per un certo periodo avrebbero dato il loro nome all’intera penisola, detta pertanto Ausonia, ed ancora al mare che bagna la costa calabra. Nell’età del ferro abitavano il Sannio, ed i latini li definivano Osci, cioè operosi mentre i greci li chiamavano Opici e li ritenevano Osci che si erano riuniti ai Sanniti, anche se in origine doveva trattarsi di gente di lingua indoeuropea, affine agli Ausoni, algi Etruschi, ai Latini ed ai Siculi.

Per Aristotele Oschi o Opici, Aurunci ed Ausoni erano la medesima popolazione. La voce Opici o Opigia, deriva dal greco Ops, terra, che per i Romani era la divinità consorte del dio Saturno. Le altre etimologie si riferiscono ad Ofs, che invece significa serpente, e ci rammenta i culti ofidiani descritti nella Bibbia ed ancora presenti nel centro-Italia ( esempio Cucullo), mentre nell’etimo, penke, riconduce alla pece, la pasta resinosa più volte citata.

Gli Aurunci sarebbero emigrati in parte nel Lazio, in parte in Campania, dove vengono ricordati dall’etimo della città di Sessa Aurunca. Nel V sec. a. C., dal Gargano discesero i lapigi provenienti dall’Illiria e dall’Epiro, ed in Calabria si confusero con i Messapi di origine ellenica.

Gli itali o Italioti, invece appartenevano ad un unico ceppo, che secondo Aristotele, traeva la sua etimologia dal nome del re degli Enotri, Italo, il quale civilizzò il suo popolo, fornendogli ordini e leggi, facendolo uscire dal selvaggio mondo dei boschi incolti, ed istruendolo nell’arte dell’agricoltura. Pertanto viene considerato il primo re dell’Italia di allora.

Secondo Antioco Siracusano, però, la parola Italia apparve per la prima volta in un trattato di pace con i Tarantini. Il nome deriverebbe da Vitelia o Vitola, per via di un episodio, relativa ad una delle dodici fatiche di Ercole. L’eroe vi avrebbe smarrito uno dei vitelli degli armenti di Gerione, in greco anche chiamato Italos, che, come sostiene Varrone nel “de Re Rustica”, vuol dire toro.

Ercole, poi, nell’idioma egizio, corrisponde a Con, il nome stesso di quella misteriosa popolazione, i Caoni, della quale sarebbe potuto essere identificato come un progenitore. Per altri invece, l’eroe eponimo sarebbe potuto essere Caone, figlio di Priamo ed Ecuba, nonché fratello dell’indovino Eleno, il quale avrebbe generato quelle genti provenienti dall’Epiro nord-occidentale, e precisamente da quella regione che da loro era detta Caonia,. I greci li definivano Xaones ed i latini Chaones, ma il loro nome deriverebbe da Kon, valente, robusto, da Kannen o da Kama, valore, potere.

Molto più complicato e contorto il loro legame con i lucani (Lu-Caoni) e con gli Enotri. I quali ultimi discendevano dal figlio di Cillene e di Licaone (Li-Caone), il re d’Arcadia, Enotrio, che era venuto ad occupare l’estremità della penisola. Inizialmente si stabilirono nella fascia che unisce il Golfo di Squillace a quello di S.Eufemia. L’etimologia greca riconduce al vino, quella ebraica alla pece.

Per altri autori, l’etimo Italia è da considerare una derivazione dal fenicio Itar, pece, per via della ricchezza delle foreste che ricoprivano le cime del pollino, della Sila, delle Serre e dell’Aspromonte e che fornivano ai Romani la resina per calata fare le navi della loro flotta.

Gli Itali occuparono in un primo tempo solo una piccola parte della regione. I Romani estesero il territorio della cosiddetta Italia sino a comprenderla per intero. Nel III a.C. racchiudeva tutta la parte peninsulare dell’Arno sino allo Stretto di Messina, e nel 42 a. C. arrivò a designare tutta la penisola di qua delle Alpi.

I Morgeti, origini.

Appartenevano ad un’antica popolazione che, dapprima coabitò con i Siculi nella parte meridionale del Bruzio, e che poi trasmigrò in Sicilia, lasciando nella provincia più meridionale il toponimo di San Giorgio Morgeto. I Siculi di stirpe indoeuropea, si erano stabiliti in Lucania ed in Calabria nel II millennio a. C.
Avendo invaso le terre degli Oschi e degli Aurunci, ne vennero scacciati, sospinti verso il mare e costretti all’attraversamento dello Stretto, procurando il nome all’isola dirimpettaia.

I Siculi erano considerati Tirreni ed in un una delle favole di Igino, come nelle Metamorfosi di Ovidio, si racconta di uno scherzo perpetrato da alcuni marinai Tirreni a Bacco ubriaco ed appisolato sulle rive del mare calabro. La furia del dio deriso li costrinse a buttarsi in acqua, perché sulla spiaggia si erano radunate le feroci belve del suo seguito. Il mar Tirreno trarrebbe tale definizione da questo episodio. Ma per i Greci, sostanzialmente, i Tirreni corrispondevano agli Etruschi ed erano molto presumibilmente dei Pelasgi provenienti dalla Lidia, l’antica regione dell’Asia minore.

Dionigi d’Alicarnasso racconta che gruppi di Arcadi guidati da Enotrio e da Paucenzio, sarebbero approdati sulle rive dello Ionio, già prima della guerra di Troia. Altre possibili origini degli Enotri riporterebbero alla Tessaglia, o all’Argolide, all’Etipia o, più in generale, all’Africa, oppure al popolo dei Sabini. Ferecide difatti era del parere che gli Enotri fossero di origine pelasgica, la cui etimologia riconduce a Phaleg, dispersione, cioè erranti, o emigrati.

I pelasgi, del resto, vengono ritenuti certamente i primi ed i più antichi abitanti della Calabria. In quanto sarebbero approdati sul nostro litorale subito dopo il diluvio di Deucalione, ben tre secoli avanti la distruzione di troia. Venivano dall’oriente, dalle zone centrali dell’Asia o dai golfi arabico e persico per alcuni, per altri nella direzione opposta, per altri ancora discendevano da settentrione, la regione iperborea, ma c’è chi propende ad accomunarli ai Celti o agli Sciti, che parlavano una lingua derivata dal sanscrito. Il loro capostipite, la mitologia classica lo identifica in Pelasgo, re d’Arcadia, il quale generò il Licaone, fondatore di Licosura, che sarebbe stata la prima città del mondo. Licaone, tra i suoi numerosi figli avrebbe avuto anche Megisto e Callisto, la più grande e la più bella, connesse con il tema mitologico di Artemide Brauronia, divinità degli orsi, essendo state trasferite entrambe queste denominazioni alle costellazioni dell’Orsa Maggiore e Minore.

Artemide Brauronia veniva venerata sotto l’aspetto di Orsa, quale progenitrice degli Arcadi, i quali pretendevano di discendere da un accoppiamento della vergine con lo stesso Giove. Ovidio narra comunque di come il sommo Dio si fosse invaghito della bellezza di Callisto, identificabile con la stessa Artemide, e di come lei fosse piuttosto ritrosa alle sue profferte d’amore. Per ingannarla, l’astuta divinità dell’Olimpo, lei si sarebbe avvicinato sotto le spoglie femminili della dea, la quale era adusa a dedicarle carezze piuttosto approfondite. Ma la vera virago, poiché impersona la natura incontaminata, vergine per antonomasia, proprio a causa di questa imprudenza e del relativo contagio sessuale, la allontanò dal suo seguito.

Nel bosco Callisto partorì Arcade, e quindi Giunone, per gelosia, trasformò la puerpera in Orsa. Arcade, maggiorenne la cacciò, ma nel momento di sopprimerne le forme bestiali, venne tramutato nella costellazione di Boote. Giunone fece in modo che la rivale non venisse mai accolta da Oceano e Teti. E difatti l’Orsa Maggiore, che si trova in posizione polare, non conosce tramonti, come conferma Omero nell’Odissea: “… e l’Orsa, che detta è pure il carro, e là si gira, guardando in Orione, e sola nel liquido Oceàn sdegna lavarsi”.
Il mito, anche in questo caso, adombra il distacco che sarebbe avvenuto in tempi, di cui si è persa memoria, tra la regione iperborea e l’area mediterranea.

Fabio Storino

domenica 17 gennaio 2010

Aulo Gellio... insegnamento di vita

Aulo Gellio (Notti Attiche, XVI, 1) ci riporta un detto da lui stesso definito "pieno di verità" e io faccio lo stesso, semplicemente usando una tecnologia che lui non conosceva, riporto nel mio zibaldone elettronico quel detto antico, scritto dal filosofo Musonio e prima di lui con diverse parole da Marco Catone.

"Se tu fai con fatica qualcosa di nobile, la fatica se ne va, ma ciò che é nobile rimane. Se tu fai con piacere qualcosa di vergognoso, il piacere se ne va, la vergogna rimane".

Credo valga sempre la pena, di fronte ad una frase di questo genere, fermarsi un attimo, riflettere... e poi iniziare ad agire secondo la regola indicata!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 11 gennaio 2010

Sull'origine del termine "Italia"... da Aulo Gellio

Tempo addietro ho letto da qualche parte (e, come mi accade sempre più spesso, non ricordo dove!) che l'Italia prese il nome da un personaggio famoso di nome Italo che regnò in antichità...
Ma giusto ieri ho letto un brano di Aulo Gellio in cui l'autore riporta una diversa origine del nome.
Aulo Gellio ci dice che le sue informazioni sono tratte dalle "Storie" dello storico Timeo e dalle "Antichità Umane" di Marco Varrone. Questi due autori affermarono che il paese d'Italia trasse il suo nome dal fatto che in antichità il territorio d'Italia era ricco di mandrie di buoi che in greco arcaico si chiamavano "italoi"...

Chi può dire se sia vero?!?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 10 gennaio 2010

Aulo Gellio... curiosità su Platone

Aulo Gellio é veramente una fonte inestimabile di curiosità linguistiche ma non solo, aneddoti su personaggi famosi e storici sono veramente frequenti...
Proprio ieri mi sono imbattuto in un pezzo in cui parla di Platone, ma lascio il posto alle sue parole:

"E' stato tramandato che il filosofo Platone, pur avendo un patrimonio familiare assai modesto, acquistò tre libri dal filosofo pitagorico Filolao..."

Ecco dunque ancora i pitagorici alla base di tutto! Ma andiamo avanti...

Pare che tale notizia fosse riportata da Timone che scrisse un libro dal titolo "Sillos" nel quale accusa Platone di avere composto il Timeo, sua opera più importante, grazie al trattato pitagorico acquistato, Gellio riporta la frase di Timone:

"Tu pur Platone, istruir ti volesti:
con molti soldi un piccolo libro comprasti,
col l'aiuto del quale Timeo scrivesti"

Ho letto il Timeo diverse volte ed ancora lo farò in futuro... alcune parti sono veramente poco chiare e sapendo come agiva e insegnava Pitagora, non mi riesce difficile credere che alcune parti siano scritte secondo la regola pitagorica, dicendo una cosa per un'altra!

Grazie Gellio, per la guida!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 7 gennaio 2010

L'insegnamento Pitagorico... secondo Aulo Gellio

Aulo Gellio,
letterato latino del II° secolo d.C., ci ha lasciato un'immensa opera scritta nelle notti invernali passate in Attica (regione della Grecia). L'opera, dal titolo "Notti Attiche", é una raccolta di pensieri e appunti presi dall'autore durante le sue letture e poi sommariamente riordinati e pubblicati.
L'opera é veramente curiosa e tra le tante curiosità ho trovato anche qualcosa su Pitagora.
Aulo Gellio ci spiega quale fu il metodo e l'ordine dell'insegnamento seguito da Pitagora, ci dice infatti che gli adolescenti che chiedevano di essere istruiti venivano studiati nella fisionomia (da ciò il nome diephysiognomònei) per cercare di intuirne il carattere e la natura.
Una volta esaminato e ritenuto idoneo veniva accolto nella scuola dove avrebbe seguito le lezioni ascoltando in silenzio, silenzio che doveva durare almeno due anni! In questa fase lo studente si chiamava akoustikòi, cioè uditore. Una volta appresa la scienza del tacere e dell'ascoltare, la più difficile, divenivano mathematikòi , matematici, in quanto dovevano studiare e riflettere sulla matematica. In questo periodo potevano fare domande, prendere appunti ed esprimere le loro opinioni.
Infine, una volta raggiunta la necessaria preparazione scientifica, potevano accedere allo studio delle opere della natura e dell'origine del mondo, e venivano chiamati physikòi, cioè fisici.

Pensate amici... a premessa della conoscenza veniva posta la capacità di ascoltare e tacere!

Saggezza degli antichi...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 5 gennaio 2010

Alessandro o il falso profeta

Luciano di Samosata, nato a Samosata in Siria nel 120 d.C., é autore di opere importanti ed interessanti... lo conosco da diversi anni, e ogni volta mi riserba piacevoli sorprese!
Scrittore satirico e acuto filosofo, si fece conoscere e ricordare per aver scritto opere in cui metteva a nudo la creduloneria del tempo nei confronti delle religioni e della magia.
Tra queste vi é l'Alessandro!

Luciano si diverte a descrivere i trucchi e gli imbrogli posti in essere da Alessandro, un profeta che agendo con dubbi metodi riuscì a creare un suo santuario nel quale vaticinava.
Luciano non risparmia neanche i suoi contemporanei, con battute sarcastiche sulla loro stupidità.

Luciano cerca in tutti i modi di mettere in ridicolo Alessandro ma ciò non distoglie i suoi adoratori... solo la morte lo farà. Alessandro morirà, contro ogni sua previsione, all'età di circa 70 anni per una cancrena al piede e solo il fatto che nessuno prese il suo posto nel suo santuario ci ha risparmiati da una nuova religione!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
Archeologia, preistoria e storia, suddivisioni artificiose del tempo... l'unico testimone dell'evoluzione dell'Uomo...
Egitto... Roma... Sardegna...
Etruschi... Babilonesi... Assiri... Hyksos... Shardana... popoli del mare... Maya... Aztechi... Cinesi...
Vogliamo parlare di questi popoli e di altri... cercare di evidenziare similitudini e differenze... proveremo a studiare, assieme a chi ne ha voglia, popoli dimenticati... senza preconcetti!
Cercheremo di ripercorrere la storia di questi popoli con l'aiuto di storici antichi e moderni... ma non solo...
Cercheremo di andare oltre una disciplina scolastica leggendo testi antichi alla ricerca di radici ancora poco chiare...
Cercheremo di capire se è vero che l'uomo si è evoluto così come abbiamo studiato, linearmente, oppure se è possibile che le cose siano andate diversamente... come sostenne Platone!

Zibaldone...

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