sabato 25 gennaio 2014

La leggenda di Iside che diventa dea, dal Ramo d'oro di Frazer

Cari amici, questa sera torno ancora una volta a parlarvi del libro di Frazer, il ramo d'oro, per raccontarvi come secondo una leggenda di cui non avevo mai sentito parlare, Iside sia diventata Dea. Nella mia versione non vi è alcuna indicazione della provenienza di questo racconto ma poco importa, ecco come Frazer lo riporta quando parla dei tabù dei nomi delle divinità.
Iside era una donna abile nel parlare che era stanca di vivere nel mondo e voleva raggiungere gli dei e meditava in cuor suo di farlo in virtù del gran nome di Ra e regnare così in cielo e in terra.
"Molti nomi infatti aveva Ra ma il gran nome, quello che gli dava potere su uomini e dei, solo lui lo conosceva. Ora, in quel tempo il dio era diventato vecchio; sbavava, e la sua saliva gocciolò sulla terra. Iside a raccolse e, col fango impregnato di saliva, modellò un serpente e lo pose sul cammino che il grande dio percorreva ogni giorno diretto, secondo il desiderio del suo cuore, al suo duplice reame. E quando giunse, secondo l'uso, accompagnato da tutti gli dei, il sacro serpente lo morse"
Il dio sentitosi mordere cominciò a gridare rivolto al cielo, e con lui gridavano tutti gli dei che lo accompagnavano.
"Cosa ti tormenta? Gridavano gli dei. Ho, meraviglia!
Ma lui non poteva rispondere: batteva i denti, gli tremavano le membra. il veleno scorreva nelle sue membra come il Nilo scorre sulla terra. Quando il gran dio ebbe placato il battito del suo cuore gridò al suo seguito: venite figli miei, frutto del mio corpo. Io sono principe, figlio di principe, divino seme di un dio. Mio padre ideò il mio nome, mio padre e mia madre mi diedero il mio nome, ed esso restò celato in me fin dalla nascita, così che nessun mago potesse avere su di me poteri magici. Sono uscito per ammirare ciò che ho creato, ho camminato nelle due terre che ho creato, ed ecco! Qualcosa mi ha punto. Cosa fosse non so. Era fuoco? Era acqua? Il mio cuore è in fiamme, la mia carne trema, un fremito scuote tutte le mie membra. Portatemi i figli degli dei, dalla parola che risana, dalle labbra sapienti, il cui potere raggiunge il cielo. E allora vennero a lui i figli degli dei e molto si dolevano."
Il grande Ra era veramente mal ridotto. chissà se la storia aveva un fondamento reale. Ra rappresentava il disco solare alto nel cielo... Il racconto continua con l'arrivo di Iside.
"E venne Iside, con la sua scaltrezza, la cui bocca è colma del respiro della vita, i cui sortilegi scacciano il dolore, La cui parola fa risuscitare i morti. E disse: cos'hai padre divino? Che accade?
E il santo dio apri la bocca e disse: Andavo per la mia strada, percorrevo, secondo il desiderio del mio cuore, le due regioni che ho creato, ed ecco! Un serpente che non vidi mi morse. E' fuoco? E' acqua? Sono più gelato dell'acqua, più del fuoco ardo, sudano le mie membra, io tremo, il mio occhio si appanna, non vedo il cielo, umido è il mio volto, come d'estate.
Disse allora Iside: dimmi il tuo nome, padre divino, poiché l'uomo chiamato col tuo nome vivrà.
Rispose allora Ra: Io creai cielo e terra, io disposi le montagne, feci il grande, vasto mare, come una tenda stesi i due orizzonti. Colui io sono che apre gli occhi, ed è la luce, che li chiude, ed è tenebra. Al suo comando si innalza il Nilo, ma gli dei non conoscono il suo nome. Sono Khepri al mattino, Ra al meriggio, Atum al tramonto.
Ma il veleno non fu allontanato da lui, più a fondo, sempre più a fondo lo trafiggeva, e il grande dio non poteva più camminare.
Gli disse allora Iside: non era il tuo nome, quello che mi dicesti. Dimmelo, dunque, affinché il veleno possa allontanarsi, poiché colui il cui nome è pronunciato, vivrà.
Il veleno bruciava adesso come fuoco, era più ardente della fiamma del fuoco.
Disse il dio: consento a Iside di cercare dentro di me, e che il mio nome passi dal mio petto al suo.
E allora il dio si nascose dagli altri dei, e il suo posto nella barca dell'eternità restò vuoto.
In tal modo il nome del grande dio gli fu tolto, e Iside, la maga, parlò: Scorri via, veleno, allontanati da Ra. Io sono, proprio io, che ho vinto il veleno e l'ho gettato a terra; perché il nome del grande dio è stato strappato da lui. Che Ra viva, e che il veleno muoia.
Così disse, la grande Iside, regina degli dei, colei che conosce Ra e il suo vero nome."

E così vi lascio per oggi, in attesa di trovare qualche altro interessante spunto di riflessione.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 gennaio 2014

Il ramo d'oro, di James George Frazer

Studio sulla magia e la religione...
James George Frazer (1854-1941), è stato un antropologo e studioso scozzese.
La sua opera principale, in 13 volumi, dal titolo originale "The Golden Bough" ovvero "Il ramo d'oro" è una grande raccolta di credenze e tradizioni popolari sulla magia e la religione dei popoli del mondo, pubblicata tra il 1911 e il 1936.
Io ho letto la versione ridotta ad un unico volume, pubblicata da Newton Compton nel 2009 (terza edizione), ma la prima edizione ridotta è del 1925.
Il libro è veramente interessante e merita di essere letto con attenzione e approfondito per diversi motivi che cercherò di esporre nelle poche righe che seguono.
In primo luogo, ogni studioso di tradizioni popolari non può fare a meno di conoscere questo antropologo e la sua opera, questa infatti è scritta con chiarezza e evidenzia similitudini e differenze tra credenze di popoli spesso lontanissimi tra loro.
Gli argomenti principali sono la religione e la magia come fattori alla base delle credenze dei popoli.
In secondo luogo, il libro parla anche dell'Italia, in particolare di Nemi, nel Lazio, Frazer infatti cerca di capire l'origine dei riti legati al bosco di Diana e al "re del bosco".
Il re del bosco non era altro che il sacerdote di Diana, la cui carica veniva tramandata in modo particolarmente cruento. Il pretendente doveva tagliare un ramo di un particolare albero sacro presente nel bosco e poi uccidere il sacerdote in carica. In questo modo ne avrebbe potuto prendere il posto sino a che qualcun altro non avrebbe avuto la forza di tentare la sorte.
Frazer avanza l'ipotesi che l'usanza di mettere a morte i sovrani sia cosa abbastanza comune in antichità e che abbia dato vita a questa terribile usanza della successione del sacerdote di Diana. Dice infatti: "riguardo al problema cruciale della consuetudine di mettere a morte i sovrani allo scadere di un determinato lasso di tempo oppure ogniqualvolta la loro forza o la loro salute dessero segni di declino, sono nel frattempo aumentate le prove che confermano come questa usanza fosse largamente diffusa."
Ma vediamo in cosa consiste questo sacerdozio e cerchiamo di conoscere meglio Diana e il suo mito.

"Si narra che il culto di Diana a Nemi fosse stato istituito da Oreste il quale, dopo aver ucciso Toante, re del Chersoneso Taurico (la Crimea), si rifugiò in Italia con sua sorella, portando con sé il simulacro della Diana Taurica nascosta in una fascina di legna."

Oreste non portò però con sé il rituale attribuito alla Diana Taurica, noto a chiunque legga i classici.

"si dice che ogni straniero che approdasse a quelle sponde venisse immolato sull'altare della dea. Ma trasportato in Italia quel rito assunse una forma meno sanguinaria. All'interno del santuario di Nemi cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo a uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nell'impresa acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece col titolo di re del bosco (Rex Nemorensis)."

Ecco dunque che un rito cruento di massa, tutti gli stranieri che approdavano venivano sacrificati, si trasforma in un simbolo, uno scontro tra due per onorare la dea sanguinaria.

"Stando a quanto dicevano gli antichi, la fronda era quel ramo d'oro che, per ordine della sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti."

Lo schiavo fuggitivo rappresentava la fuga di Oreste dal Chersoneso, il combattimento con il sacerdote rappresentava i sacrifici alla dea.
Sembra che questo cruento modo di succedere nel sacerdozio fosse ancora il vigore in età imperiale.
Diana era venerata essenzialmente come cacciatrice e come divinità che concedeva la prole e un facile parto. Il fuoco era uno degli elementi preponderanti del rito. Ma vediamo in cosa consisteva il rito:

"durante la festa annuale che si celebrava il 13 agosto, nel periodo più caldo dell'anno il boschetto era illuminato da una miriade di torce il cui bagliore si rifletteva nelle acque del lago; e in tutto il territorio italico ogni famiglia celebrava quel sacro rito. Statuette bronzee ritrovate nel recinto, raffigurano la dea che regge una torcia nella mano destra alzata; e le donne le cui preghiere erano state esaudite, si recavano inghirlandate e con una torcia accesa al santuario per sciogliere il voto [..] durante la festa annuale della dea i cani da caccia venivano inghirlandati e non si molestavano gli animali selvatici [..] i giovani celebravano una cerimonia purificatrice, si recava il vino e il banchetto consisteva in carne di capretto, dolciumi bollenti serviti su foglie di vite e mele ancora attaccate in grappoli al loro ramo."

Il santuario di Diana dava spazio anche ad altre due divinità minori, la prima, Egeria, "la ninfa della limpida acqua", le cui acque si gettavano nel lago di Nemi in località Le mole. Anch'essa aiutava le donne nel parto.

"Narra la tradizione che la ninfa era stata la sposa, o l'amante, del saggio re Numa e che egli si congiungesse a lei nel segreto del bosco sacro [..] I ruderi di terme scoperti all'interno del recinto sacro e le numerose terracotte riproducenti varie parti del corpo umano suggeriscono che l'acqua Egeria servisse a guarire gli infermi",

che ringraziavano la divinità lasciando nel tempio un oggetto in terracotta della forma delle membra un tempo malate e poi guarite.
La seconda divinità minore si chiamava Virbio. Vediamo chi era:

"Narra la leggenda che Virbio era Ippolito, il giovane eroe greco, casto e bello, il quale aveva appreso l'arte venatoria dal centauro Chirone e trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve, avendo come unica compagna la vergine cacciatrice Artemide (la Diana greca)."

Il mito racconta che Ippolito disdegnava tutte le donne, adorava solo Artemide, la sua compagna. Per questo motivo incorse nelle ire di Afrodite che indispettita fece in modo che Fedra, la matrigna di Ippolito, si innamorasse di lui e quando fu respinta, lo accusasse ingiustamente di fronte al padre Teseo. Teseo chiese a suo padre Poseidone di punire Ippolito. Poseidone gli mandò contro un toro feroce nato dalle acque mentre Ippolito si trovava sul suo carro. I cavalli imbizzarriti lo trascinarono nella loro corsa e Ippolito morì. Artemide non si arrese e chiese ad Esculapio di riportarlo in vita grazie alle sue doti di guaritore. Giove, infuriato per l'atto compiuto da Esculapio, confina il medico nell'Ade. Artemide/Diana riesce a nascondere Ippolito dall'ira degli dei facendo scendere la nebbia e mascherandolo da vecchio e poi lo porta nella valle di Nemi, nel lontano Lazio, affinché vi vivesse nascosto con il nome di Virbio.

"Non vi è dubbio che il S. Ippolito del calendario romano, trascinato a morte dai cavalli il 13 agosto, giorno dedicato a Diana, altri non sia che l'eroe greco suo omonimo che, morto due volte come pagano, fu felicemente resuscitato come santo cristiano"

E con quest'ultima considerazione di Frazer, vi lascio per oggi...

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

lunedì 6 gennaio 2014

Curiosità sui Caldei, dalla Collana degli antichi storici greci volgarizzati

Cari amici e amanti delle antichità, oggi ho ripreso alla mano il libro di Diodoro Siculo, Biblioteca Storica. La versione che possiedo comprende solo i primi tre libri per cui mi sono messo su internet e mi sono fatto aiutare da Google books per cercare i libri successivi.
Ho trovato una versione del 1820, tradotta dal Cavalier Compagnoni, e ho subito dato uno sguardo all'indice alla ricerca del libro IV.
Ho così scoperto molto presto che il volume comprendeva solo i primi due libri e stavo per abbandonare il libro per proseguire la ricerca quando mi sono reso conto che verso la fine si trovavano alcune aggiunte, dei chiarimenti e approfondimenti dell'autore della traduzione. Si trattava di un testo sulla cultura indiana in cui si parla dell'antichità dell'India, dei Bracmani e dei Bramini loro successori e di un altro testo col quale ho avuto già a cha fare qualche tempo fa, quella volta in lingua inglese, questa in italiano, sulle antichità caldaiche secondo Beroso, il titolo preciso è: "Memorie storiche e cronologiche intorno alle cose Caldaiche, Assirie, e Babilonesi secondo Beroso e gli scrittori più antichi che d'esse parlarono conforme trovansi compilate da Eusebio".
Questo argomento mi è sempre interessato e nonostante avessi già letto e scritto qualcosa (vedi Berosso: frammenti di storia caldea...) per curiosità ho dato uno sguardo e così mi sono reso conto che in questa versione vi si possono trovare delle informazioni che non conoscevo sul Diluvio Universale. Sperando che l'argomento interessi voi come me, eccovi alcuni pezzi, estratti sulla base dei miei interessi.
Dopo aver parlato di un essere mostruoso chiamato Oanne, in parte pesce e in parte uomo, portatore di insegnamenti divini, di cui ho già parlato nel precedente articolo, l'autore prosegue parlando di un tal Aloro, che pare sia stato il primo re dei Caldei...
 
          "Sta dunque che dieci sole età si computassero da Aloro (vedi anche: sui re Caldei) che dicesi il primo loro re, fino a Sisutro (scritto anche Xisuthrus) sotto il quale dicono essere accaduto il gran diluvio. Anche ne' libri ebraici da Mosè pongonsi prima del diluvio dieci età: cioè anche dagli ebrei si notano in particolare altrettante successioni d'uomini, dal primo, che essi pongono, fino al diluvio. Ma la storia degli ebrei comprende gli anni delle dieci età entro il numero di quasi duemila anni; e gli Assirj, mentre descrivono minutamente, e successivamente le età, d'esse tengono il numero simile a quello, che ha tenuto Mosè; ma variano nei tempi, perchè dicono che dieci età comprendono centoventi sari; e che da questi vengonsi a formare quarantatre miriadi, e duemila anni"
 
In questo passo, come si può vedere, si paragona la durata delle età caldaiche alla durata delle età degli ebrei, indicate nei testi sacri. Un sari era un periodo di tempo di tremilaseicento anni, anche se la cosa non è sicura, c'è infatti che pensa che si tratti di una cattiva interpretazione dei traduttori e che invece un sari corrisponda ad un anno.
 
          "Finalmente dalle predette cose ci verrà fatto di vedere, che Sisutro è quel medesimo che gli Ebrei chiamano Noè, al cui tempo venne il gran diluvio, del quale anche la storia del Polistore parla. E così egli si esprime (Cap. III). Morto Otiarte, Sisutro regnò per diciotto sari, e sotto di lui venne il gran diluvio. - In tal modo poi continua. Dice che a lui apparve Saturno in sogno, e gli predisse che il giorno quindicesimo del mese desio gli uomini perirebbero per inondazione. che perciò ordinò che i libri tutti, cioè gli antichi, quelli de' tempi di mezzo, e quelli degli ultimi, sotterrasse in Sipari, città del Sole" (vedi anche: Berosso da Abideno...).
 
Interessante il riferimento al seppellire i libri antichi a Sipari, città del sole, chissà se di questa città è rimasta traccia...
La storia continua come quella di Noè, Sisutro costruì l'arca, vi fece salire sopra i parenti e gli animali, attese che cessasse il diluvio e mandò fuori  gli uccelli...
L'arca si arenò in cima ad una montagna presso gli Armeni, uomini e animali ripresero a vivere rispettando gli dei. Una spedizione partì alla ricerca dei libri seppelliti a Sipari, città nei pressi di Babilonia, per restituirli agli uomini. I libri furono ritrovati...
 
Più avanti, si parla anche della costruzione della torre di babele, ma vediamo cosa scrive l'autore:
 
          "Della fabbrica inoltre della torre parla il Polistore quasi alla lettera, come se ne parla nei libri di Mosè, ed ecco le parole sue. - Dice la Sibilla che tutti gli uomini parlanti una medesima lingua costrussero quell'altissima torre, onde salire in cielo: che Dio fortissimo soffiando un vento la rovesciò, e che li fece parlare differentemente l'un l'altro; e perciò la città essersi chiamata Babilonia. Poi dopo il diluvio essere vivuti Titano e Prometeo; e che Titano fece guerra a Saturno."
 
Sul significato di Babilonia l'autore aveva parlato in precedenza in una nota in cui dice che Babilonia non vuo dire altro che città di Dio o del padre di Dio, in quanto Belo significava Dio. Aggiunge alcune considerazioni sul fatto che i popoli antichi usavano consacrare le capitali dei loro regni. Nella nota parla anche di una città detta Genezareth in cui pare che si trovasse una splendida biblioteca.
Della guerra tra Titano e Saturno e della costruzione della torre di babele, l'autore riporta alcuni versi dei libri sibillini, che mi sono piaciuti e quindi anche io riporto:
 
          "Contro l'ira del Nume, ove sia mai
che a danno de' mortali ancor s'accenda,
Ne' campi assirj immensa torre al cielo,
onde alle stelle ardenti adito farsi,
fabbricar essi; e non parlavan anco
lingue diverse. Ma l'Eterno, a' spirti 
suoi ministri...
come da' venti il turbin vorticoso
a terra rovesciò l'ampio edifizio,
e ruppe de' concordi animi il voto,
a te per tanto fatto, o Babilonia,
venne nome famoso. Fu Saturno
allora, e fu Titano, e fu Japeto;
poichè messa discordia entro que' petti
le diverse si udian strane favelle"

E con queste parole per oggi concludo! A presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 4 gennaio 2014

Sulle biblioteche di Alessandria d'Egitto e di Menfi, dalla Bibliografia di Michele Denis

Precedenti:
Vediamo ancora qualche informazione sulle biblioteche più antiche. Questa volta le notizie sono tratte dal testo: "Bibliografia, di Michele Denis", pubblicato a Milano nel 1846.
Nel libro si parla della storia della scrittura, a partire dal mitico Adamo. A me interessa raccogliere qualche informazione sulle più antiche biblioteche e anche in questo caso ho trovato qualcosa di interessante sia sulla biblioteca di Alessandria che su quella più antica di Menfi, ma giudicate da voi:
"La teologia o teurgia, l'astrologia e la fisica erano i principali argomenti dei più antichi lavori scientifici dell'Oriente. Senza dubbio si cominciò per tempo a raccoglierli, come Eusebio attesta specialmente in quanto ai Fenicj. In Diodoro trovasi come primo raccoglitore di essi Osimandua re d'Egitto, che molto acconciamente pose in fronte alla sua biblioteca l'epigrafe: Medicina dell'anima. Che poi da principio i libri si custodissero per lo più ne' tempj sotto l'ispezione de' sacerdoti, risulta anche dall'accusa fatta da Naucrate ad Omero d'aver involato l'Iliade e l'Odissea dal tempio Vulcano in Menfi, dove l'autrice loro, certa Fantasia, avevale deposte."
Che dire, ecco saltar fuori ancora una volta la biblioteca di Menfi e addirittura una accusa di furto o plagio dell'Iliade e dell'Odissea!
Quanto la cosa possa essere credibile non so, anche in considerazione del nome dell'autrice, Fantasia, ma la storia è sicuramente interessante.
Subito dopo l'autore comincia a parlare della biblioteca d'Alessandria, della sua nascita sotto Tolomeo Filadelfo e sulla ricchezza delle opere custodite, anche in questo caso trovo delle informazioni interessanti:
"A meglio arricchirla poi venne intrapresa la traduzione della Bibbia in lingua greca per opera di 72 interpreti colà inviati dal sommo sacerdote Eleazaro dietro consiglio di Demetrio Falereo, allora esule da Atene, e bibliotecario di Tolomeo."
Secondo l'autore dunque, fin dalla nascita della biblioteca di Alessandria, vi sarebbe stata custodita anche la traduzione della Bibbia in lingua greca.
Secondo questo testo, il primo bibliotecario è proprio Demetrio Falereo, il consigliere del re Tolomeo, poi gli succedettero Zenodo da Efeso, Eratostene da Cirene, Apollonio d'Alessandria, ed Aristosseno: uomini meno celebri..."
La biblioteca doveva essere enorme, per contenere tante opere:
"Cedreno dice che le sole traduzioni dal caldaico, dall'egiziano e dal latino ammontavano in essa a 100.000 volumi; Seneca fa ascendere il numero dei codici a 400.000; e A. Gellio a quasi 700.000: ma tutto andò in cenere quando Cesare entrò vittorioso in Alessandria; benché egli stesso e Irzio osservino su ciò il più perfetto silenzio."
Le altre notizie, tra cui anche le notizie sulle successive donazioni e distruzioni e concorrenza della biblioteca di Pergamo sono le stesse che ho già riportato nei precedenti articoli.
L'autore però nomina altre famose biblioteche, quella della città di Susa in Persia, quella di Cartagine.
Per tutti coloro che come me amano i libri, le biblioteche antiche sono un argomento affascinante...
credo proprio che l'argomento meriti di essere approfondito!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
Archeologia, preistoria e storia, suddivisioni artificiose del tempo... l'unico testimone dell'evoluzione dell'Uomo...
Egitto... Roma... Sardegna...
Etruschi... Babilonesi... Assiri... Hyksos... Shardana... popoli del mare... Maya... Aztechi... Cinesi...
Vogliamo parlare di questi popoli e di altri... cercare di evidenziare similitudini e differenze... proveremo a studiare, assieme a chi ne ha voglia, popoli dimenticati... senza preconcetti!
Cercheremo di ripercorrere la storia di questi popoli con l'aiuto di storici antichi e moderni... ma non solo...
Cercheremo di andare oltre una disciplina scolastica leggendo testi antichi alla ricerca di radici ancora poco chiare...
Cercheremo di capire se è vero che l'uomo si è evoluto così come abbiamo studiato, linearmente, oppure se è possibile che le cose siano andate diversamente... come sostenne Platone!

Zibaldone...

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