Nell’Antico Egitto le tasse erano pagate con il lavoro o in natura.
Considerando che il popolo egiziano apparteneva al re, era a lui che i suoi sudditi dovevano, in cambio del cibo, prestazione lavorativa gratuita.
Solo gli artigiani e i contadini, la parte produttiva egiziana, era soggetta al pagamento delle tasse. Durante l’epoca tinita furono fatti vari censimenti che permettevano di conoscere le future entrate con ampio anticipo. Come avveniva? Si valutava il presunto rendimento dei campi al momento della mietitura, calcolo fatto osservando l’altezza raggiunta dalle piene del Nilo. L’ammontare dell’imposta era poi conteggiato dagli scribi. L’importo delle tasse non era lasciato al potere decisionale degli scribi, ma il tutto era seguito da funzionari che dovevano osservare una prassi determinata. Erano rari i casi in cui un contadino doveva versare un tributo che non era in grado di pagare. Tuttavia gli abusi esistevano. Chi si riteneva vittima poteva fare le sue rimostranze ed era ascoltato. Vista la diversità degli oggetti provenienti dalla riscossione delle tasse, che svariavano dal grano ai pesci, dalle pelli conciate agli incensi, le città erano tutte dotate di grandi magazzini per lo stoccaggio. Anche i templi erano soggetti al pagamento delle imposte, salvo che non fossero in possesso di una carta d’immunità (ar), depositata negli archivi reali, dove erano elencati diritti e doveri.
Frequenti sono le raffigurazioni, tra le pitture tombali, di scene di prelievo delle imposte nei campi e delle bastonature inflitte ai recalcitranti contadini.
Sabrina BOLOGNI
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