di Mikkelj Tzoroddu
- premessa
Ci
siamo decisi a scrivere la presente nota perché ci serva quale viatico per un
contributo più consistente che andremo a proporre di poi.
Il
Lilliu Giovanni da Barumini è stata persona che si negò fin da subito, la
possibilità di ritagliarsi un posticino nella ristretta cerchia dei più insigni
studiosi della Sardegna. Dopo il liceo, gestito da religiosi nelle vicinanze
della capitale, frequentò la Sapienza di Roma dove conseguì, con il Pettazzoni,
il diploma “sulla religione sarda primitiva” e, tornato in Sardegna nel ’43,
inopinatamente (causa il numero di docenti esiliati, oppure rinunciatari o
trasferiti, che colpirono l’università di Cagliari) si trovò ad occuparsi fin
da subito di paletnologia ed archeologia, senza verun didattico tirocinio
tuttavia.
Nel
suo percorso professionale, crediamo fosse malevola sua consigliera, proprio la
iniziale scarsa dimestichezza con la materia, la quale lo indusse a
dichiarazioni davvero paradossali sulla antichità sarda “lato sensu”: per lo
(impreparato) studioso, la Sardegna ed i Sardi risultavano sempre relegati
all’ultimo posto in qualsiasi ambito lui prendesse in considerazione. Al
riguardo, si era creato una tal eccessiva inclinazione, che non smise mai di
applicarne il metodo ai suoi resoconti, anche quando i dati che andava
esprimendo cozzavano contro le fantasie che ne faceva risultare. Da orgoglioso
e testardo, nonostante le mille occasioni avute, su temi che giudicava
fondamentali, non volle mai correggersi, perché non s’ingenerasse l’idea che
Lilliu Giovanni si fosse sbagliato, anche soltanto una o due volte nella vita!
Eppure,
non era partito male. Mentre, sempre a Roma, prima del ‘41 studiava per
ottenere la specializzazione in archeologia, nel copincollare da autori che
andava memorizzando, così si esprimeva su quel mondo di nuraghi, tombe
megalitiche, pozzi, villaggi di capanne: «una grande civiltà che ha sprigionato
da sé vigorosamente […] forme molteplici ed elevate di vivere civile». Ed è,
addirittura, positivamente propositivo, quando afferma che: «maestri di muro
sardi recano, forse, nelle Baleari […] la forma e la struttura del nuraghe e
della tomba di gigante […]». Salvo poi, retrocedere verso espressioni
appiattite verso il basso: «E’ il periodo più brillante della sua storia,
l’unico momento d’iniziativa cosciente della sua “razza afflitta”»!
(nostra l’enfasi grafica)
Ecco
il Lilliu, e la sua indole intrisa di cupo pessimismo che si esprime col nulla
dar conto!
Di
seguito ci offre, invece, un chiaro esempio di quanto aleatoria fosse quella
sua cultura, priva d’ancoraggio col mondo reale, che si compì solamente sui
libri, senza mai concretizzarsi con una impegnativa ricerca sul campo: «[…] si
collega in Sardegna […] anche tutta una serie di bronzi di uso e figurati […]
bronzi i primi, colati in forme di steatite, forse delle rocce verdi di Corsica
o delle Alpi Piemontesi».
Stupefacente davvero! Perché, persino “i bambini” del Nuorese, conoscevano bene
“sa preda modde” de Orane (Nu), per usarla nei loro giochi! Senza contare le
altre località di possibile origine, quali Monte Plebi-Olbia, Poglina-Alghero,
Illorai, Teulada, siti ad oriente di Cagliari e, forse, Mogoro e provincia
Iglesias, nonché tanti altri.
È
facile, ora, risalire alla genesi del suo paradossale muoversi, semplicemente
considerando quanto, al rientro dal Continente, fosse devastante per il giovane
sardo che aveva trascorso gli anni belli e spensierati dei suoi studi nella
città più importante d’Italia, il confronto con la realtà di casa propria.
Quì,
non trovava una minima traccia delle tante grandiosità della Roma caput mundi:
architettoniche e artistiche (il Colosseo, la basilica di S. Pietro col suo
colonnato, la Cappella Sistina), edilizie (le stesse comuni abitazioni
costituite da grandiosi palazzi di otto, dieci piani, con ascensore), relative
ai trasporti (la stazione Termini con i suoi tanti convogli che
contemporaneamente caricavano e scaricavano migliaia di viaggiatori d’ogni
dove)! Il constatare come, tutto ciò che gli stava attorno, fosse minuscolo e
“perdente” al confronto con la realtà d’oltremare, ebbe un impatto devastante
con la sua immatura dignità di Sardo. Da quel momento, svilì tutto ciò che gli
si andò parando davanti nel percorso dei suoi studi! Quelle sarde, minuscole e
“perdenti” situazioni, esso portò stampate nell’intimo per molti decenni a
venire! Purtroppo, cercò di esorcizzarne l’effetto, non evitando di dar conto
di fatti i cui elementi non ben conosceva ma, in una sorta di auto fustigazione,
esaltando la pochezza delle sarde cose che, il più delle volte, era creazione
di sua stessa psiche!
Ed,
ove saltasse fuori una situazione meravigliosa, come quella di Monti Prama, se
ne stava abbattuto, rinchiuso entro i suoi personalissimi drammi, per almeno
due anni, senza muovere un dito né un verbo: ciò che gli si presentava
violentemente vestita di una culturale grandiosità senza pari, giudicava un
terribile, inspiegabile, scherzo del destino!
Per
molti anni avemmo grandi difficoltà nel percorrere il campo minato dei suoi
resoconti, fatti di verità, nascondimenti della stessa con architettura di dati
opposti, e relativa conclusione appiattita su espressioni che gettavano alle
ortiche ogni minima possibilità di rendere luminoso il passato di Sardegna e
Sardi! Ci rendemmo conto, per la prima
volta, essere certificata tale assurda modalità di procedere, nello studiarci
il suo “La grande statuaria nella Sardegna nuragica”, Memoria presentata
all’Accademia dei Lincei nel 1997, argomento che esso decise di trattare “a
mente fredda”, essendo quasi trascorso un quarto di secolo dalla scoperta! Come
dicemmo in altra sede, si evince ivi chiarissimamente, nonostante le reiterate
contrarie argomentazioni, che esso fermamente, credesse doversi datare le
Statue di Monti Prama ai secoli XIV - XI avanti Cristo! Ma, esso giammai avrebbe potuto in modo
franco esternare il suo pensiero, causa tutti i nascondimenti e sotterfugi
perpetrati ai danni delle statue che erano lì a rappresentare la negazione
lampante di tutte le sue “sarde minuscole e perdenti situazioni”!
Riguardo
il presente argomento circa la popolazione, il risultato leggibile è occultato
scientemente dietro mille paramenti che, se visti da un leggere attento che sia
conseguente a quanto appena svelato, risultano attrezzati davvero ingenuamente,
indispettendo il lettore, abituato ormai a decriptare lo svolgersi di sua non
sempre elegante prosa.
Desideriamo
altresì porre in essere (proprio in seno alla premessa), in modo estremamente
chiaro, la seguente dichiarazione:
«Noi
siamo in totale disaccordo con tutto ciò che viene raccontato da Lilliu
Giovanni Baruminese sull’argomento Nurakes. Lo siamo su quella che riteniamo
ridicola indicazione di metà II millennio a.C. per la nascita del Nurake. Dissentiamo
sulla configurazione socio antropologica con cui ebbe ad etichettare il Nurake
complesso. Reputiamo la errata definizione di villaggio, con cui qualifica l’insieme abitativo posto in contiguità del
Nurake complesso, chiaro frutto della mancanza d’un serio studio d’insieme».
La
scarsa attitudine ad esprimere uno specifico studio dedicato alla dinamica
struttura del Nurake risulta, con disarmante evidenza, dalla attenta lettura
dei suoi libri e riallaccia la presente osservazione con quella esternata
supra, ove si rileva la preparazione universitaria del Baruminese fosse
ampiamente dedicata alla «religione sarda primitiva». La quale ultima materia
egli dovette ascoltare ben più che le “mute pietre” del Nurake, allo studio
delle quali non accompagnò molto del suo tempo. Ed, ove il lettore desideri
accertare la veridicità di quanto testé espresso, può recarsi alle pp. 137-233 della Civ. Sar. ed. ’63 ed analizzare i contenuti dei capp. V e VI
descrittivi del “nuragico arcaico e medio”. Ebbene, nelle quasi cento pagine,
quelle dedicate “specificamente” allo studio dell’insieme organico di materiali
e forze che interagiscono per la eternità del Manufatto, non arrivano “nella
loro interezza” a superare le cinque! Vi si parla invece, con enfasi non poggiante
su esame alcuno, di “età dei grandi costruttori”, di “età dei guerrieri
pastori”, di “età della libertà sarda” (sembrandoci questa ultima, una sorta di
programma elettorale in nuce: infatti, il nostro nel ’67 divenne consigliere
regionale democristiano) che definiamo semplici amplificate esternazioni,
valide sol perché: “su di esse vi passarono aliti dell’atmosfera delle grandi
civiltà europee”! Invece, la gran parte dello spazio è riservato al descrivere
luoghi funerari delineati come «cultura dei morti», quindi tipi di
seppellimento, riti connessi con la deposizione, elencazione di corredi dei
passati. Nella loro più varia ed estesa tipologia!
Tuttavia,
proprio sull’argomento popolazione, avendo scoperto i numeri propinati dal
nostro grandemente privi della necessaria forza persuasiva, ma essendovi degli
studiosi sprovveduti e creduloni che ancor oggi fanno propri i numeri del
Lilliu catapultandoli incautamente nei loro lavori credendo di scaricarvi uno
scientifico afflato, abbiamo inteso dimostrare al mondo che vuol sentire,
utilizzando fra i dati forniti dallo studioso soltanto quelli pregni di
costante evidenza, che la popolazione della Sardegna nel periodo compreso fra
1200 e 900 a.C., cioè durante quella sua “Fase III nuragica”, non fosse affatto
composta da 200/250 mila unità, com’esso declamò a partire dal 1982 fino
all’ultima pubblicazione che di poco precede la sua morte!
2- i dati
2.1- Fase II nuragica:
1500-1200 a.C
Ci
si dice.
-
Non ci sono serie difficoltà per ammettere che, nella Fase II, siano state
costruite, se non tutte, la massima parte delle torri nuragiche sia quelle che
rimasero allo stato d’origine nella forma elementare sia le altre arricchite,
per lo più nella successiva Fase III, di corpi aggiunti di varia grandezza.
Appunto, lo spazio di trecento anni fra 1500 e 1200 a.C., è tale da aver
consentito di erigere gradatamente i “7000 e più nuraghi turriti”, diffusi in
tutta la regione.
-
Motivo delle singole torri a piani plurimi, oltre la monumentalità indicativa
del potere, fu ottenere in elevazione lo spazio abbastanza carente in piano,
negli stessi nuraghi di un certo respiro ambientale, come il Santu Antine;
infatti, anche nelle torri a un solo piano con terrazzo, talvolta, si
scompartisce in due sezioni orizzontali l’ogiva, per mezzo d’un solaio di
legno; una soffittatura tutta di legno, poggiata su riseghe del vano-torre in
corrispondenza ai due piani superiori, sostituiva per l’appunto la sovrapposizione
di ogive in muratura del nuraghe Oes di Torralba.
-
i nuraghi monotorre sono stati usati sempre come abitazione e difesa: edifici
civili riservati ai capi e ai lori nuclei familiari opportunamente protetti da
una proporzionata forza militare, in
vicinanza e a dominio del connesso e dipendente villaggio: in sostanza
(riepiloghiamo) un nuraghe = un villaggio.
Età
del Bronzo
2.2- Fase III nuragica:
1200-900 a.C.
Ci
si dice.
-
Il fenomeno più rilevante e caratteristico della fase III, è costituito
dall’origine e dallo sviluppo del nuraghe complesso. In essa avviene la fusione
della forma dello pseudonuraghe della Fase I con quella del nuraghe a torre
cupolato, della Fase II. Ad una parte dei cosiddetti nuraghe monotorre, si
aggiunsero altri corpi di costruzione, che li arricchirono sino a culminare in
monumenti grandiosi e organici di architettura superiore: i cosiddetti nuraghi
complessi. Le forme più elaborate e spettacolari di essi si producono con la
addizione concentrica: la torre primitiva resta nel centro, o quasi nel mezzo.
L’evoluzione formale si verificò lentamente (sic!), nel lungo spazio di circa
300 anni!
-
Riguardo l’argomento “difesa”, il nuraghe di tipo Barumini permette il formarsi
di un’idea chiara delle diverse fasce del sistema difensivo concentrico. In
questo sistema di muraglie a gradoni, poteva manovrare e operava una
guarnigione di 200-300 uomini (rif. Civ. Sar., 1963, p.251 e 1983, p.292). Ma,
si dice anche che vi poteva agire una massa di circa 200 soldati (rif. Civ.
Sar., 1988, p.507 e 2003 e sgg. p.586). Qui si prenderà per valido il dato: 250
uomini.
-
Viene rilevato essere, la quantità dei nuraghi, compresa fra 7000 ed 8000;
credendo di interpretare il pensiero dello studioso, e per posizionarci nel
mezzo delle quantità indicate, prenderemo per buono il canonico dato: 7500
nuraghi sparsi per tutta l’Isola.
-
Inoltre, viene fornito un dato di grande importanza per addivenire ad un
conteggio attendibile: i nuraghi
complessi rappresentano il 28% del totale.
Da ciò, noi deduciamo che, nella Fase III nuragica, son presenti 2175 nuraghi
complessi, mentre 5325 si contano essere i nuraghi monotorre.
-
I nuraghi complessi, che dominano sull’abitato a contatto e su contadini e
pastori con esso correlati, rappresentano il luogo del potere di piccole
città-capitali che ospitavano monarchi militari estendenti il comando a
limitati staterelli; essi risultano integrati in un sistema di nuraghi
monotorre opportunamente distribuiti nel territorio.
-
Riguardo il possibile ampio ventaglio delle occupazioni lavorative della
popolazione di tremila anni addietro in Sardegna, il Lilliu pare non avere
dubbi! Infatti, esso così sentenzia: «Altrettanto problematico appare oggi
esprimersi su quanto concerne lo spazio di “terreno coltivabile e di pascolo” costituente
il patrimonio rurale di ciascun villaggio»!
Caro lettore! Altro che ampio ventaglio! Il Baruminese era sicurissimo, su
questo punto! Il Sardo di tremila anni addietro, aveva soltanto due orizzonti
lavorativi: il pastore, il contadino, fine! Ma come! Eppure, di sovente, ci
apostrofa sentenziando che i Sardi avevano manifestato in varie epoche,
compresa questa cui si rivolge ora, la innata predisposizione a generare i più
arditi ingegneri delle costruzioni, i più mirabili architetti, i più saggi
geometri, i più esperti “maestri di muro” i quali, così geniali, fa andare
persino nelle Baleari ad insegnare agli “indigeni” a costruire nuraghi e tombe
di giganti! Così magistralmente dotati, le tantissime migliaia, ma forse
milioni, di Sardi dediti alle suddette discipline, da costringere il Lilliu ad
affermare che essi: «in tre secoli soltanto, erano stati capaci di costruire
SETTEMILANURAGHI»!
-
Infine, riguardo la superficie geografica che faceva capo al nuraghe monotorre,
il Lilliu (portando un esempio da sette nuraghi con relativo agglomerato di
case, dell’area di Mamujada-Nuoro), ne indica la estensione in 38 ettari. In
questo, che è parametro cruciale per il calcolo della popolazione, troviamo
deviazioni e nascondimenti inseriti, a bella posta, allo scopo di far
naufragare il logico condursi d’ogni tentativo di comprensione razionale! L’autore afferma essere l’area di pertinenza
di tutti i succitati nuraghi, circa 270 ettari, avendosi di conseguenza
«disponibili da parte di ciascun villaggio 38 ettari di terra per circa 35
abitanti; CIASCUN GROSSO
GRUPPO FAMILIARE (10 PERSONE) GODEVA POCO PIU’ DI TRE ETTARI
per gli usi regolati dalla comunità».
Subito il lettore percepisce una qualche soddisfazione per l’abbondanza di dati
forniti! Verifichiamone la attendibilità.
3- analisi
Iniziamo
proprio dai dati riferiti all’area di Mamujada che vien presa in discussione
solo casualmente, ma è propinata dal Lilliu quasi fosse il degno campione
statistico sul quale poggiare una dimostrazione, il cui risultato debba
rivelare la superficie, generalizzata, di pertinenza del Nurake e del suo
villaggio.
Ora,
aver la pretesa di stabilire un dato universale valido per tutto il continente
Sardegna, presentando un misero esempio come questo evidenziato, che non è
esito statistico, mancandovi raccolta e ordinamento di solidi dati e assenza
delle cardinali connessioni, ma è parziale persino della stessa area “presa a
campione”, getta nefasti dubbi sulla correttezza ed accettabilità dei calcoli
del Lilliu! Pertanto, pur restando nello stesso ambito geografico, allargandone
però compiutamente la visuale, per conto nostro diremo che:
-
ove volessimo cogliere lo spazio che compete all’odierno comune di Mamujada,
prenderemmo in considerazione tutta la superficie relativa che è pari a circa
4.900 ettari
-
cercheremmo di venire a conoscenza del dato che riporti il numero dei nuraghi
di pertinenza; scopriremmo
che tale dato si rivela essere pari a 33 nuraghi, relativamente ad una analisi
sul territorio che tenne conto dei «nuraghi realmente esistenti o dei quali è
stato possibile rilevare tracce convincenti, sia pure talvolta miserevoli […] (e di, ndr) quelli individuati con
certezza attraverso il racconto degli anziani o dalla comune memoria anche se
non più esistenti». E, nel far ciò, non ci si fermerebbe, come non ci siamo
fermati, al primo dato che facilmente ci vien posto innanzi: «Nel territorio di
Mamujada si contano oggi quindici nuraghi»,
perché contrariamente a quanto pare pretendere il superficiale, raffazzonato
resoconto del Lilliu, i comuni mortali ambiscono arrivare (per quanto
possibile) a scoprire la reale sostanza di fatti, luoghi ed avvenimenti di cui
si discute; e, sia detto per inciso, la differenza fra nuraghi visibili e
nuraghi “realmente” esistiti, 15 contro 33, è davvero abissale! Ma, non si ha
la minima pretesa di credere quei 33, certamente rispondenti alla reale
quantità di quei monumenti costruiti nell’area! Il numero evidenziato è
soltanto il punto di una ricerca lunga e paziente, portata avanti a vari
livelli nel lungo volgere di un secolo, che peraltro siamo oltremodo sicuri non
ci garantisca, il numero 33 rappresenti la certa verità! Per arrivare a ciò, v’ha
necessità d’una specifica disciplina che, non solo non captiamo portata avanti,
ma non vediamo neppure delineata nelle sue parti essenziali in neanche un solo
progetto orientato esclusivamente allo scopo! Ci accontentiamo pertanto della
disponibilità del dato al momento più correttamente plausibile: 33 Nurakes.
Bene, con tale numero di nuraghi risulterebbe, il corrispettivo territorio di
ciascuno di essi (per l’area di Mamujada), pari a circa 148 ettari, che è dato
decisamente più veritiero dei 38 indicati dal Baruminese.
Si tenga anche conto che il conteggio testé prodotto è parziale anch’esso!
Pertanto, non ci si può lontanamente azzardare a voler generalizzare i dati
vagliati in questo procedimento. Per
chiarire, ma anche ampliare il nostro pensiero, poniamo in essere la seguente:
3.0.1- digressione
Attivando
una valutazione (peraltro approssimativa) abbiamo trovato possibile essere
stata la superficie della Sardegna con le sue isole, nei pressi dell’epoca
considerata (1500-900 a.C.), vicina a 25.000 km2 ma forse più. Ora
il numero inferito dal Lilliu, sulla quantità dei nuraghi alla data, era pari a
7500; detto numero gli è stato suggerito sulla base di ciò che altri ha
rilevato in questi ultimissimi decenni. Ma, tremila anni fa, i nuraghi visibili
saranno stati certamente in numero maggiore e per trovare detto numero
(presumibilmente vicino al vero, nella misura in cui lo siano tutti i dati in
giuoco) possiamo attivare una tanto banale quanto teorica operazione
proporzionale, che metta in relazione superficie e numero dei monumenti.
Parrebbe così, che i nuraghi visibili all’epoca fossero poco meno di 7.800;
tale risultato ci conduce a considerare come, ciascun nuraghe (senza far
distinzione di categoria), potesse insistere su una propria porzione di terreno
pari, mediamente, a circa 320 ha. In
tale margine geografico, son compresi anche monti, fiumi, stagni, rendendo
pertanto molto articolato e variabile il concentramento umano ivi assiso, che
sarebbe orientato allo sfruttamento del relativo territorio di competenza, in
funzione dei possibili pascolo, semina, sfruttamento minerario, navigazione e
pesca marittima e non, commercio, ecc.,
incidendo le quali attività, sull’assetto imprenditoriale, collocazione
sociale e disposizione economica della
comunità. A questo proposito, credendo di fare cosa gradita al lettore che
desideri “vedere”, lo stato delle cose al di là delle parole, avviamo il
tentativo a “disegnare” la ideale mappa del Nurake contenente gli elementi
costitutivi del paesaggio vegetale della Sardegna. In linea teorica,
rifacendoci ai dati estrapolati e messici a disposizione da Maurice Le Lannou,
in “Pâtres et paysans de la Sardaigne”, datato al 1941, possiamo ricavare una
possibilistica “composizione media” del territorio ascrivibile a ciaschedun
Nurake (di quegli ha 320 teorici) che, soltanto in linea statistica,
risulterebbe così composto:
-
i pascoli, pari al 47,29% del territorio generale, coprirebbero oltre 151
ettari
-
i terreni trasformati da attività agricola o pastorale, pari al 27,08%,
coprirebbero circa 87 ettari
- gli spazi cespugliosi (macchia), pari al
17,08%, risulterebbero coprenti ha 55 circa
-
i boschi, che occupano il 5%, coprono
ha 16 circa
-
gli spazi a presenza d’acqua (stagni, fiumi, laghi, acquitrini ecc.) e cime
montane non identificabili col resto, pari al 3,5%, occupano ha 11,2 circa
(essendo, questa ultima, porzione da noi inferita).
3.1- pesantissime
incongruenze – parte prima
Bene,
nel principiare solo ora la annunciata analisi, subito, è d’uopo ci si pronunci
a chiare lettere su quella davvero inopinata, suddetta indicazione dei “35
abitanti per ogni villaggio”.
Poco
prima
di infrangersi sui nuraghi di Mamujada il nostro, che sta trattando e
descrivendo la “Fase III nuragica: 1200-900 a.C.”, così fugge via, lasciando
con un palmo di naso il Buon Senso Comune:
«Purtroppo
distruzioni operate dalla natura e dall’uomo o successive ristrutturazioni dei
più antichi nuclei capannicoli non consentono di precisare la consistenza
abitativa delle case. Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta
e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV), vi si contano “da una decina a una
sessantina e più di vani”. Supponendo che “cinque vani aggregati costituissero
una casa con una decina di persone ciascuna” (tre generazioni familiari), si
avrebbe una media di popolazione per villaggio da 10 a 60 abitanti (35 in
media)»! Ovvero, sostiene
incredibilmente il Lilliu, si avrebbe una media di case per villaggio da 1 a 6,
(sic)!
Bene,
caro lettore, con grande tranquillità e bontà senza pari, definiamo lo scritto
qui sopra evidenziato, in questo modo: NON ALL’ALTEZZA DI UNO SCIENTIFICO
PROCEDERE!
Ma,
eseguiamo assieme disamina e coerente posizionamento dei dati forniti.
a)-
Si dice: 1) nei villaggi si contano “da una decina a una sessantina e più di
vani”, ed anche, “5 vani costituiscono una casa con dieci persone”. Se ne deve
dedurre che i villaggi più piccoli sono composti da 2 case ed abitati da 20
persone; mentre quelli più grandi hanno 12 e più case, con 120 e più
abitanti! Pertanto, per seguirlo con le
sue stesse parole, “si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 20 a
120 abitanti” e non i 10–60 abitanti che esso propone con grossolano ardore
sminuente! Ma, sarebbe interessante si
venisse a sapere che fine abbiano fatto tutti i villaggi con tantissime
abitazioni, menzionati dal nostro a suo tempo.
E, a titolo di puro esempio, rammentiamo quello del Nuraghe Arvu – Calagonone,
“composto da 114 capanne”! Oppure quello del grosso paesino montano di Ruinas –
Arzana, presso l’omonimo nuraghe, “composto di 200 abitazioni circolari”.
b)-
il sostenere, pur nella erroneità della proposizione, che “villaggi da 10 a 60
abitanti abbiano una popolazione di 35 abitanti in media per ogni villaggio”
rappresenta, di per sé, una nefandezza metodologica ed una logica scandalosa,
per di più unite ad una aritmetica prescolare!
Perché
tutto ciò? Il Lilliu non intese mai seriamente impegnarsi, con tutta la sua
anima di studioso e di sardo, nella ricerca del numero di abitanti della
Sardegna! Per esso, il dato era del tutto insignificante, in quanto aveva già
deciso nel suo insondabile io, che il numero finale sarebbe stato qualunque,
purché il più basso possibile!
Infatti,
da un eventualmente insigne scienziato, nonché strenuo studioso
dell’archeologia nuragica che “dopo 60 anni di lavoro indefesso” avesse
affrontato il computo, ci saremmo aspettati ci venisse comunicato: “il numero
totale (abbastanza preciso) di tutti i villaggi e, nell’ambito di ciascun
villaggio, il numero delle abitazioni e, dentro le abitazioni ed in funzione
della loro tipologia, il numero di abitanti”! Fine! A questo punto la semplice somma di tutti i dati parziali avrebbe
fornito la verosimile quantità degli abitanti della Sardegna!
c)-
per di più, supporre che “cinque vani aggregati costituissero una casa con una
decina di persone”, cioè ospitanti due persone per stanza, può essere modello
che ricalca una situazione socio-economica che verrà, semmai, raggiunta nel III
millennio d.C.! Cioè TREMILA ANNI DOPO,
il momento di cui si discute!
Ebbene, ora sei tu tirato in ballo caro
lettore: in quasi un quarto di secolo, fra la pubblicazione del 1988 e quella
del 2011, il Lilliu non ha mai ritenuto opportuno correggere una sola, fra
queste tante assurde nonché rozze discrepanze!
Sarebbe il caso te ne chiedessi il motivo! Ovviamente i dati, per lo più cervellotici, destinati ad una
cultura depressa non in grado di reagire, sono da noi presi e cestinati in
buona misura.
3.2- pesantissime
incongruenze – parte seconda
Ma
ora, trasferiamoci su altra pubblicazione del tal Lilliu Giovanni e leggiamo
cosa ebbe a scrivere in relazione allo “stesso, identico argomento”.
-
BRANO DEL 1982:
l’autore discetta circa il numero dei nuraghi della Fase III nuragica: 1200-900
a.C., sostenendo che la loro quantità dovesse essere ben superiore ai 7000
indicati precedentemente. Indi, così porta avanti il suo pensiero: «Le
ristrutturazioni, avvenute in periodo di tempo successivi per cause naturali e
umane, dei più antichi nuclei d’abitazione, non consentono di precisare la
consistenza quantitativa delle case, le quali, nella definitiva stesura
edilizia, variano nel numero dalle 40 alle 200: ciò che fa ipotizzare una
popolazione da qualche centinaio a un
migliaio e più di individui».
Desideriamo,
il lettore ponga ben mente al preciso contenuto del brano appena riportato,
perché intendiamo offrirne la interpretazione critica, che vorremmo mettere a
confronto con quella che si evince dalla lettura del brano del 1988, già
riportato ma, appresso esposto nuovamente acciocché se ne fruisca il subitaneo
confronto visivo.
-
BRANO DEL 1988: «Purtroppo distruzioni operate dalla natura e dall’uomo o
successive ristrutturazioni dei più antichi nuclei capannicoli non consentono
di precisare la consistenza abitativa delle case. Quando i villaggi acquistano
una stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV), vi si
contano da una decina a una sessantina e più di vani. Supponendo che cinque
vani aggregati costituissero una casa con una decina di persone ciascuna (tre
generazioni familiari), si avrebbe una media di popolazione per villaggio da 10
a 60 abitanti (35 in media)»!
NOTA
- Prima di procedere, bisognerà tenere ben in vista quel che si disse nella
premessa di questo articolato insieme di pagine: «obiettivo costante della
dottrina lilliana è stata la dimostrazione della “piccolezza”,
“insignificanza”, “puerilità”, “irrilevanza” di tutto ciò che riguarda i Sardi
e la Sardegna». Ad amplissimo spettro, è d’uopo si aggiunga! E, la popolazione
non poteva fare eccezione! Ove più povera d’abitanti risultasse l’Isola, più
misera sarebbe risultata la sua statura storica! Perché, i “pochi” mai furono
protagonisti, ma sempre oggetto passivo!
E, siccome il nostro si era accorto esservi alcuno, fra i pochi “senza
anello al naso”, che aveva ben compreso da suoi resoconti, la popolazione della
Sardegna risultasse molto, ma molto più elevata rispetto al numero drogato
ch’esso andava dichiarando, ecco scattare l’operazione per soffocare numeri e
vocaboli incautamente sfuggiti anni prima!
Orbene,
s’inizi il confronto esegetico dei due testi.
a-
1982: «Le ristrutturazioni, avvenute in periodo di tempo successivi per cause
naturali e umane, dei più “antichi nuclei d’abitazione”, non consentono di
precisare la consistenza quantitativa delle case». 1988: «Purtroppo distruzioni
operate dalla natura e dall’uomo o successive ristrutturazioni dei più “antichi
nuclei capannicoli” non consentono di precisare la consistenza abitativa delle
case».
Ecco,
caro lettore, il primo esempio chiaramente distruttivo, ottenuto con la
semplice, apparentemente innocua, sostituzione di vocaboli: gli “antichi nuclei
d’abitazione” eccoli diventare gli
“antichi nuclei capannicoli”! Infatti, il vocabolo “abitazione” risulta
oltremodo più grandioso (pur nella sua normalità), ma soprattutto più carico di
modernità non disgiunta dalla ormai conquistata comodità, rispetto ad un misero
“capannicolo”, che si manifesta talmente arretrato, scomodo, malmesso e umido,
sistemato com’è nella più vetusta antichità tormentata dalle intemperie, da
risultare essere persino l’antenato povero della signora “capanna”, ch’è pur
certamente posizionata, nella scala del tempo, in un angolo ancora buio ed
oltremodo più remoto del luogo ove la Fortuna sistemò la “nobile abitazione”!
b-
1982: […] la consistenza quantitativa
delle case, «le quali, nella definitiva stesura edilizia […]». 1988:
«Quando i villaggi acquistano una stesura edilizia compiuta e definitiva
(e ciò avviene nella Fase IV)».
Ricordi
bene, l’attento lettore, che il contesto temporale in cui sono inserite le
considerazioni tutte dell’autore, è esattamente questo: «Fase III nuragica: 1200-900 a.C.»! Ed ora,
se un qualunque autore di lingua italiana vada a produrre due frasi come le
seguenti: «la consistenza quantitativa
delle case, le quali, nella definitiva stesura edilizia», congiunte come sono,
dal pronome relativo, è letterariamente ineccepibile risultino sia la
consistenza quantitativa delle case sia
la loro definitiva stesura edilizia, strettamente racchiuse all’interno
del contenitore temporale del quale si vanno enumerando le
caratteristiche! In sintesi: si
riferiscono entrambe alla suddetta «Fase III nuragica: 1200-900 a.C.»! SENZA
VI SIA NECESSITA’ DI ALCUNA PRECISAZIONE NEL MERITO!
Ma,
ove il malizioso lettore avanzi solo un dubbio sulla irreprensibilità
della
nostra dichiarazione, è il solerte Lilliu a smentirlo elegantemente!
Così: “Quando i villaggi acquistano una
stesura edilizia compiuta e definitiva (e ciò avviene nella Fase IV)”!
Hai ben compreso malizioso lettore? È lo stesso autore che fuga ogni
tuo dubbio
dicendoti (anni dopo) a gran voce: attento bene che, ove io desideri
riferirmi
a diverso periodo, lo scrivo chiaramente: “ciò avviene nella «Fase IV
nuragica:
900-500 a.C.»”! Pertanto, caro lettore
da più lati continuamente offeso ormai, si manifesta anche nel presente
caso b)
che stiamo studiando, l’insano procedere del Baruminese che
stigmatizziamo
coerentemente di tal guisa:
«prendere
un dato strettamente connesso alla Fase IV nuragica: 900-500 a.C., appartenente
a un futuro cioè lontanissimo, e portarlo di peso a determinare la consistenza
abitativa di un villaggio del 1200-900 a.C. che lo precede di mezzo millennio
circa, CREDIAMO SIA ATTO DI
DISONESTA’ SENZA PARI»!
3.3- pesantissime
incongruenze – il “non plus ultra”
Ma,
procediamo pure nella nostra entusiasmante analisi critica!
c-
1982: «(le case, nella definitiva stesura edilizia, ndr) variano nel numero dalle 40
alle 200». 1988: «(relativamente
ai villaggi, ndr) vi si contano da una decina a una sessantina e più di
vani».
Subitamente
si nota come, (forse) per ingenerare confusione, si sia provveduto a cambiare
la unità di misura: nel 1982 ci si riferisce alla “casa”, nel 1988 si prende a
misura “il vano”. E poiché, una casa
era composta di cinque vani ed era abitata da una famiglia di dieci persone
ebbene, tramortiti dalla irraggiungibile aritmetica del Baruminese, apprendiamo
come «i villaggi di 40-200 case», del 1982, siano diventati «villaggi di 2-12 case»,
nel 1988! Che, sonoramente così
titoliamo: La sminuente, vertiginosa caduta dei numeri! VIENE
OPERATO UN ABBASSAMENTO
del numero delle case dei villaggi più piccoli DI VENTI VOLTE! Ed UN ABBASSAMENTO del numero delle case
di quelli più grandi DI OLTRE
SEDICI VOLTE! E, il nume di Barumini, non fornisce alcuna
giustificazione di questo salto qualitativo e numerale! Ma, tratta i sacri dati
che afferiscono all’antichità sarda, come fossero carte da gioco, che
distribuisce al tavolo degli inconsapevoli lettori, facendo in modo che vinca
sempre il banco! Cioè la sua perversa idea di una “sempiterna minima Sardegna”!
d-
1982: «(le case dei villaggi si contano
dalle 40 alle 200: è, ndr) ciò che fa ipotizzare una popolazione da qualche
centinaio a un migliaio e più di individui (rispettivamente,
ndr)». 1988: «Supponendo che cinque vani aggregati costituissero una casa con
una decina di persone ciascuna si avrebbe una media di popolazione per
villaggio da 10 a 60 abitanti»!
Ricordiamo
quì (sforzandoci di non piangere) che il Lilliu Giovanni riporta (come già
rilevato) dei numeri che affondano e scompaiono nella tinozza di sua svilente
inventiva, essendo quelli corretti, pur nella ipocrisia della sua aritmetica:
20-120 abitanti!
Male!
E, caro pur già distrutto lettore, qui è opportuno tu sappia che, la succitata
determinazione del 1982, trae origine nientemeno dalla edizione del 1963!
Ripetuta anche nella ristampa del 1983 della seconda edizione di Civ. Sar..
Nelle pubblicazioni succedutesi in questo periodo l’autore, dopo aver trattato
del “progresso dell’organizzazione sociale e dello sviluppo economico
manifestantisi col costituirsi di numerosi villaggi fra i monti, sulle colline
agricole, sui grandi altopiani dei pastori e in riva al mare”, così ci
ammoniva: «Il numero delle capanne varia dalle 40 alle 200, costituendo, così,
borghi “da cento a mille persone”
calcolate in 4 per capanna»! Hai ben
compreso, attento lettore? Dopo questa
data il nostro, pare alfin esser vittima di una razionale determinazione,
perché si convince che «una casa dovesse, certamente, essere abitata da dieci
persone»!
Questo
salto da 4 a 10 abitanti per casa, peraltro, ci trova in perfetto accordo col
Baruminese!
E,
d’altro canto, a nessun sardolettore non giovanissimo, sarà apparso saggio il
determinarsi il numero delle persone costituenti una famiglia sarda, pari ad
appena 4 unità, come (in modalità presminuente, nel ‘63) ebbe a comunicarci il
nostro! E, si badi ancora qui: nel nuovo testo “Civiltà Nuragica” del 1982
(come ricordato supra) esso riportò: «una popolazione “da qualche centinaio a
un migliaio e più di individui”», correggendo il dato relativo al piccolo
villaggio di 40 case, i cui abitanti fa salire “da cento a qualche centinaio”
(cioè quattrocento); ma alzando soltanto di poco il dato relativo al grande
villaggio, che da “mille persone” sale impercettibilmente a “un migliaio e
più”!
Ben
si comprende come, nel primo caso abbia adottato il più realistico parametro di
“dieci abitanti per casa, o famiglia”, mentre nel considerare i grandi
villaggi, abbia rinnegato lo stesso procedimento perché il risultato avrebbe portato
gli ultimi ad assurgere quasi a delle città (che, per il vero, proprio lui
chiamerà le «città-capitali»!), risultando abitate da 2000 persone ciascuna! La
qual cosa risultò inaccettabile in funzione della sua caparbia filosofia
sminuente.
Ma,
nel testo del 1988 ed in tutti quelli che seguirono, il Baruminese ebbe a dare
al mondo che lo adorava, il meglio di
sé!
Altro
che 400 e 2000 abitanti per villaggio e città! Egli azzerò tutti questi dati
che cozzavano spietatamente contro il suo intento depauperante e, senza darne
la minima giustificazione, gli servì un paio delle sue carte truccate, essendo
il banco ancora il suo! In questa vilipendibile maniera:
«UNA
MEDIA DI POPOLAZIONE PER VILLAGGIO DA 10 A 60 ABITANTI»!
Così
è se vi pare!
4- il calcolo (nostro)
Prima
si entri a pieno titolo nel merito del “corretto” conteggio della popolazione,
è necessario ricordare che, gli ultimi trent’anni della sua vita, il Lilliu
Giovanni da Barumini, volle dedicare a retrocedere la “sua” Sardegna così
evoluta demograficamente della Fase III, avente cioè un numero talmente
esorbitante di centri abitati da essere calcolati in 7500 (diconsi
settemilacinquecento! E, si consideri che la italietta, ne conta oggi appena
8000 circa!), ad area geografica pressoché deserta! Quasi DISABITATA!
Cioè
avente poco più di 9 abitanti
per km2! Si rammenti il presente in cui, la pur “davvero desertica”
Sardegna, ha una densità di circa 68 abitanti per km2!
Infatti,
esso già (ed inopinatamente) nel testo Civ. Nur. del 1982,
sparacchiò, prendendoli dal bussolotto, i seguenti numeri AVENTI IL COMPITO DI TRAVISARE TUTTA LA
REALTA!
Questo
il risultato:
«[…]
ci sfugge il calcolo dello stato demografico dell’isola che, se fosse valida la
supposizione della presenza d’una trentina di abitanti (ancora inferiori ai
famosi 35!) in media sui 7.000-8.000 nuraghi e dimore pertinenti, oscillerebbe
tra le 200 e le 250 mila unità».
Ohibò!
Ebbene
sì, caro lettore!
Questo,
il tuo amato Lilliu! Ben capace di
raccontarti una verità incomprensibile ma, altrettanto restio a lasciarti il
tempo per razionali tue considerazioni, sollevandoti dal trauma di scoprire il
vero assoluto! Eccolo allora, riversarti addosso la bugia definitiva, tombale,
la quale sola tu debba tener a mente: LA POPOLAZIONE DELLA SARDEGNA E’ PARI
A 250.000 PERSONE!
E
cosi sia!
4.1- procedimento
Secondo
l’autore, i nuraghi, nella loro totalità, sono in quel taglio temporale, circa
7500; di questi, ci si dice essere il 29%, cioè 2175, quelli complessi; pertanto calcoliamo in circa 5325 quelli
semplici restanti (§ 2.2).
Ci
viene anche detto che nei nuraghi complessi albergasse una guarnigione militare
che poteva contare (come per Barumini) circa 250 soldati. Ci si avverte
altresì, che i nuraghi aventi una sola torre, per lo più a piani plurimi (anche
con soffittature lignee), fossero edifici civili riservati ai capi e ai lori
nuclei familiari opportunamente protetti da una proporzionata forza
militare, in vicinanza e a dominio del
connesso e dipendente villaggio. Osserviamo che, se nel caso di Barumini e
complessi nuraghi, si ritengono necessari 250 soldati alla difesa, crediamo nel
caso del nuraghe monotorre, possa forse ritenersi sufficiente un decimo di tale
forza militare, cioè appena 25 soldati (essendo questo un dato da noi
inferito).
C’è
poi da ricordare che: «i nuraghi complessi, che dominano sull’abitato a
contatto, e su contadini e pastori con esso correlati, rappresentano il luogo
del potere di piccole «città-capitali» che ospitano monarchi militari
estendenti il comando a limitati staterelli».
Ora,
ciascuno di questi “staterelli” era composto: 1) dalla città-capitale ove risiedeva un monarca, 2) da militari ed
amministratori, 3) dagli abitanti (circa 2000), 4) dal suo proprio territorio,
ma anche, 5) dal territorio altro, che mediamente comprendeva (da ricavo
aritmetico) 2,448 nuraghi monotorre, con i rispettivi regoli con famiglia,
militari ed abitanti di pertinenza.
Ebbene,
ora ci interessa conoscere il numero totale dei componenti la famiglia del
regnante e della sua corte, atti entrambi a governare lo staterello, cioè ad
esprimere e far rispettare le sue indicazioni in termini legislativi,
economici, di ordine pubblico. Non crediamo essere lontani dalla realtà se ne
indichiamo in circa 80 il numero
totale: 10 persone che formano strettamente la famiglia del re, 10 provenienti
dalla famiglia della regina, 10 provenienti da quella dello stesso monarca, 30
che si occupano dei servizi “domestici”, altre 15 fra artigiani ed addetti
tecnici al funzionamento della reggia in senso lato. Quindi la corte, composta
da tre, quattro funzionari, ciascuno con un paio di addetti al servizio.
Ove
si ritenga corretto il dato degli 80 abitanti del nuraghe complesso, quelli che
afferiscono al nuraghe monotorre reputiamo vicini ai 20.
Pertanto,
in osservanza di tali dati, avremo quanto segue.
POPOLAZIONE
relativa alla città:
-
2000 nella città
-
80 nella reggia (dato di nostra inferenza) a)
-
250 soldati
Totale popolazione della
città: 2330 abitanti
POPOLAZIONE
relativa al villaggio:
-
400 nel villaggio
-
20 nel monotorre (dato di nostra
inferenza) b)
-
25 soldati (dato di nostra inferenza) c)
Totale popolazione del
villaggio: 445 abitanti
4.2- RISULTATO FINALE
- abitanti delle
città: 2175x2330 = 5.067.750
- abitanti dei villaggi:
5325x445 = 2.369.625
TOTALE DEGLI ABITANTI LA
SARDEGNA nel periodo 1200-900 a.C.
PARI A:
7.437.375 c.v.d.
5- considerazioni
sul Nurake
Ora
siamo nella condizione di calcolare, mediamente ed in linea teorica, la
quantità di superficie attinente ai nuraghi complesso e monotorre, servendoci
dei dati su popolazione totale, popolazione del villaggio e popolazione della
città.
In
linea generale, sui 25.000 km2 di superficie di quella Sardegna che
si sta analizzando, ogni abitante si riferiva ad un territorio pari ad ha
0,336. Pertanto:
-
un nuraghe complesso con la sua città di pertinenza, agisce su una superficie
di ha 783 circa.
-
un nuraghe monotorre con il suo villaggio, svolge la propria attività su una
superficie di 149,5 ha.
-
il “territorio altro”, cioè l’area relativa ai 2,4 monotorre riferentisi al
nuraghe complesso, risulta così caratterizzata:
POPOLAZIONE:
-
400 nel villaggio x 2,448 = 979
-
20 nel monotorre del regolo x 2,448= 49
-
25 soldati x 2,448 = 61
Totale
popolazione dell’area comprendente i 2,4 monotorre: 1.089 abitanti circa.
Inoltre:
-
lo “staterello” lilliano (cui non pertiene personalità ufficiale) risulta
mediamente usufruire di uno spazio pari a: 783 + (149,5 x 2,448) = 1.149 ha
circa; ed anche, risulta una popolazione dello staterello di 3.419 abitanti circa (essendo esso, soltanto un dato
statistico).
6- considerazioni
finali.
Come,
l’attento lettore avrà notato, i dati che sono stati inseriti da noi perché
mancanti da quelli indicati dal Lilliu in tanti decenni (segno evidente che mai
esso ebbe desiderio di arrivare alla fine di un conteggio corretto), sono quelli indicati con a), b), c).
Ebbene:
il
dato a) non crediamo ragionevole far scendere al di sotto di 62
il
dato b) reputiamo corretto non possa essere inferiore a 20 (in origine si era
pensato a 25)
il
dato c) riteniamo non sia ragionevolmente in discussione se confrontato al dato
lilliano: 200-300 soldati per il nuraghe complesso, da cui deriva
In
onestà, affermiamo che l’unico dato che, a malavoglia, acconsentiamo a
diminuire è proprio il dato a).
In
questa ipotesi il risultato finale sarebbe: 7.398.225 abitanti
mikkelj
I.A.-
Sarà bene si ricordi come il dato che definisce la popolazione della Sardegna
vicinissima ai 7.000.000 di abitanti, fu pubblicato sul saggio
“kircandesossardos” nel 2008! In esso, il periodo di riferimento era posto
circa un secolo dopo il momento in cui i Sardi permisero ai Romani di svolgere
un’attività alle proprie dipendenze! (così avrete altro materiale su cui
“crogiolare”!)
La
strabiliante concordanza dei due risultati, provenienti da metodiche di calcolo
decisamente disuguali è ricompensa, sì grandemente insperata, che va consegnata
a quell’intimo guerriero “kircande”, che demorde giammai!